Accuse di tangenti contro il partito del ministro degli esteri
Lieberman. La caccia ai suoi voti è già aperta, potrebbe cambiare il
segno della prossima coalizione di governo.
La linea di difesa di Yisrael Beiteinu (oggi Lieberman ha commentato
l’indagine con un post su Facebook) è quella della giustizia a
orologeria: «Non c’è elezione senza indagine contro Yisrael Beiteinu».
In effetti il 14 dicembre 2012, a pochi mesi dalle elezioni del 2013,
Lieberman era stato costretto alle dimissioni da ministro dopo
l’apertura di un fascicolo a suo carico, con accuse simili a quelle
mosse oggi contro i suoi colleghi di partito. Lieberman fu prosciolto un
anno dopo.
Si vedrà stavolta quale esito avrà l’indagine, ma le conseguenze
politiche potrebbero essere immediate. Sondaggi aggiornati ancora non ce
ne sono, ma tutti gli esperti prevedono che Yisrael Beiteinu, un
partito di destra laica, perda qualche punto percentuale a favore dei
suoi principali rivali: il Likud di Benjamin Netanyahu e la destra
religiosa della Patria ebraica, guidata da Naftali Bennett.
Lo spostamento di voti a destra potrebbe non essere irrilevante. Il
sistema di voto israeliano è proporzionare (con una soglia di
sbarramento minima), i governi sono sempre di coalizione. Secondo le
cronache politiche dalle parti del Labor si stavano facendo i conti su
un’ipotetica coalizione di governo che lasciasse Netanyahu
all’opposizione: un coacervo che tenesse insieme l’alleanza di
centro-sinistra tra il Labor e Tzipi Livni, i centristi di Yair Lapid,
l’ex alleato di Netanyahu Moshe Kahlon e lo stesso Lieberman. Uno strano
aggregato, visto che su molte questioni Lieberman è certamente più “a
destra” del Likud: in politica estera è falco, anzi falchissimo, molto
più dello stesso Netanyahu (basti ricordare che, durante l’ultima guerra
di Gaza, Lieberman ruppe l’alleanza elettorale con Netanyahu dopo il
rifiuto del premier di ri-occupare militarmente la Striscia).
Un calo di Lieberman complicherebbe questa prospettiva. Se il
principale beneficiario dell’inchiesta fosse Bennett (oggi
all’opposizione) si rafforzerebbe l’ipotesi di un governo di
destra-destra, in cui Netanyahu sarebbe una delle voci più “moderate”.
Se invece “Bibi” conservasse il suo ruolo di pivot della politica
israeliana, starebbe a lui la scelta: potrebbe guardare
all’ultra-destra, ma anche costruire una coalizione ampia, aperta al
centro e al centro-sinistra.
Tutte ipotesi, per ora, da cui però può dipendere la ripresa del
processo di pace e la realizzazione dei “due Stati”. La campagna
elettorale è appena all’inizio.
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