UMBERTO GALIMBERTI
La Repubblica 14 dicembre 2014
Quando una mamma uccide un figlio
genera la riprovazione generale senza riserve. Se poi si ostina a
negare il fatto, nonostante le prove contrarie nelle mani degli
inquirenti, la riprovazione non ha più attenuanti.
QUI non vogliamo discutere se Veronica
Panarello ha ucciso o meno il suo piccolo Loris, ma capire, con
l’aiuto della psicoanalisi, perché fatti del genere possono
accadere, e perché, una volta accaduti, ci si ostina a negarli. La
psicoanalisi non è un tribunale della verità, ma può aiutarci a
comprendere quello che per il senso comune e per la nostra ragione è
incomprensibile. A questo proposito tre sono le considerazioni che ci
possono aiutare a capire.
1. In ciascuno di noi, ma più
marcatamente nella donna in quanto depositaria della specie, ci sono
due soggettività: una che dice “Io” con i suoi progetti, i suoi
ideali, i suoi sogni, le sue aspirazioni, l’altra che ci prevede
come semplici “funzionari della specie”. Le due soggettività
sono in conflitto, in quanto le esigenze della specie non coincidono
con quelle dell’Io. Per questo l’amore materno non è mai
disgiunto dall’odio materno, dal momento che il figlio vive e si
nutre del sacrificio della madre che, dal concepimento in poi, deve
assistere alla trasformazione del suo corpo, al trauma della nascita
e, successivamente, al sacrificio del suo tempo, del suo spazio, del
suo sonno, del suo lavoro, della sua carriera, delle sue relazioni,
dei suoi affetti e talvolta anche dei suoi amori, per la totale
dedizione al figlio. Questa ambivalenza di amore e odio, che il mito
dell’amore materno stenta a riconoscere, chiede una soluzione che,
in particolari condizioni psichiche, può generare il più terribile
degli eventi. Anche il linguaggio ne è testimone. Quante volte
abbiamo sentito dire dalle madri al proprio bambino “ti
ammazzerei”.
2. Tra le sofferenze psichiche più
diffuse, Freud annovera il senso di colpa che, nel nostro caso,
Veronica può avere inconsciamente interiorizzato in ambito familiare
per i difficili rapporti, per non dire ostilità, con la madre e con
la sorella. A questo proposito Freud scrive in un saggio del 1922 che
ha per titolo L’Io e l’Es: “È stata per noi una sorpresa lo
scoprire che un’accentuazione di questo senso di colpa inconscio
può trasformare gli uomini in delinquenti. Eppure è senza dubbio
così. Si può individuare in molti delinquenti, specialmente quando
si tratta di giovani, un potente senso di colpa che preesisteva
all’atto criminoso, e che quindi di questo atto non è l’effetto
bensì la causa: come se il poter collegare il senso di colpa
inconscio a qualche cosa di reale e attuale fosse avvertito da
costoro come un sollievo”. Non so se questo è il caso di Veronica
Panarello, anche se l’aver cercato nella sua adolescenza di punirsi
con un tentato suicidio per liberarsi del suo senso di colpa può
essere una traccia che ci aiuta a comprendere.
3. Il fatto poi che Veronica neghi
quelle che per gli inquirenti sono evidenze non ci consente di
considerarla, senza riserve, una bugiarda, perché chi mente sa di
mentire, ma può accadere anche che, non avendo la forza di guardare
in faccia l’atrocità che si è commosso, si neghi, prima a se
stessi che agli altri, di essere responsabili dell’accaduto. Non si
tratta di rimozione ( Verdrängung) che Freud descrive come un
meccanismo di difesa inconscio con cui allontaniamo da noi immagini o
fatti che sentiamo inaccettabili, ma di nagazione ( Verneinung ) per
cui il soggetto nega l’esistenza di ciò che esiste e conosce.
Nella negazione Freud vede l’origine della scissione dell’Io che
è l’anticamera della follia, in cui il soggetto nega, sinceramente
a se stesso prima che agli altri, che sia accaduto un fatto che è
accaduto. Stanley Cohen, professore di sociologia alla London School
of Economics and Political Science, ha scritto un bellissimo libro:
Stati di negazione. La rimozione del dolore nella società
contemporanea ( Ed. Carocci) in cui mostra quanto diffuse siano le
forme di negazione e quanto devastanti siano gli effetti, nel mondo
privato e in quello pubblico, di questo atteggiamento che nega ciò
che esiste e si conosce. Con queste considerazioni non vogliamo
esprimere alcun giudizio sui terribili fatti di Santa Croce Camerina,
e neppure giustificarli, ma semplicemente cercare di comprendere
quello che in apparenza appare incomprensibile, ricordando a tutti
noi quel che Freud non cessa di ribadire, ossia che “l’Io non è
padrone in casa propria”.
Nessun commento:
Posta un commento