Il disgelo tra Washington e l'Avana, con il sostegno di Francesco, è
un "modello" per la soluzione di altre crisi. Negli Usa la mossa del
presidente spiazza i repubblicani e facilita la strada di Hillary verso
la Casa Bianca
Prossima tappa? Un viaggio di Barack Obama a Cuba? O,
più realisticamente, forse, un incontro a tre, a settembre, fra Obama e
Raul Castro. I due presidenti e Francesco. Nella cornice dell’assemblea
annuale delle Nazioni Unite. A cui partecipano capi di stato e di
governo e, il prossimo anno, anche il capo della chiesa cattolica, che
ha avuto un ruolo decisivo nel rendere possibile l’intesa tra i due
nemici storici.
Pensando già a quale sarà la prossima tappa del processo di
distensione che si è aperto improvvisamente tra Usa e Cuba, si ha la
sensazione, da un lato, della velocità del ciclo delle notizie, che
divora anche gli eventi storici, dall’altra, del fatto che la giornata
del 17 dicembre è, appunto, solo l’inizio di un tragitto. Lungo e
complicato. Un percorso su più piani e in più direzioni, sul versante
interno dei due paesi più direttamente coinvolti, sul versante del
continente americano ampio (le Americhe) e sul versante più ampio delle
relazioni internazionali e delle altre situazioni conflittuali nel
mondo, per le quali il modo in cui è stata affrontata la questione
cubana, anche con il coinvolgimento della chiesa di Francesco, è un
precedente e perfino un modello.
Soprattutto nel Vicino Oriente e in Iran. Per il presidente Obama e
l’attuale papa, che si trovano in grande sintonia nell’analisi delle
vicende mediorientali e nel metodo per affrontarle, il modo in cui è
stato pazientemente sciolto il groviglio cubano – diciotto mesi di
negoziati segreti – è considerato un test importante e promettente.
Va sottolineato, tuttavia, che anche in questo caso, prevale su tutto
– nelle intenzioni del presidente statunitense – l’effetto della sua
decisione sul fronte domestico.
Nove presidenti, prima di lui, si erano confrontati con la questione
cubana, mantenendo sempre, democratici e repubblicani, la stessa linea,
quella dell’embargo e della punizione senza fine del regime castrista,
ma in realtà del popolo cubano. Perché è andata avanti così anche dopo
la caduta del Muro? Perché Cuba è molto vicina alla Florida, lo stato
dove ha trovato rifugio un milione e mezzo di esuli e profughi cubani,
col dente avvelenato col castrismo, specie le vecchie generazioni. Uno
stato che conta ben 29 voti elettorali nelle elezioni presidenziali nel
quale la componente ispanica è determinante.
Uno stato decisivo, come insegna la contestata vittoria di George W.
Bush su Al Gore nel 2000, proprio con i voti “rubati” in Florida.
Cuba è sempre stato un tabù nella politica americana. Nessuno voleva
inimicarsi la comunità cubana, che così determinava la politica di
Washington confronti dell’Avana. E anche questa volta, le reazioni alla
decisione di Obama lo dimostrano, con il senatore della Florida Marco
Rubio, figlio di profughi cubani, scatenato contro la decisione di
Obama, e l’ex-governatore della Florida Jeb Bush, anch’egli molto
critico. Rubio e Bush probabilmente si candideranno alle presidenziali
del 2016. Entrambi sono legati ai rifugiati cubani historicos, in gran
parte arci-conservatori e, naturalmente, anti-castristi irriducibili.
Hillary Clinton, no. Lei è con Obama. Come lo è stata sulla questione
dell’azione esecutiva sull’immigrazione clandestina. Probabile
candidata nel 2016, Clinton guarda al voto ispanico nel suo complesso,
che non è la fetta minoritaria dei cubani historicos. Le ultime
generazioni di cubano-americani sono a favore della normalizzazione
delle relazioni con Cuba. E in Florida, secondo un sondaggio
Reuters-Ipsos condotto prima dell’annuncio del disgelo, il 47 per cento
degli intervistati è favorevole all’avvio di normali relazioni
diplomatiche con l’Avana.
A livello più generale, poi, la stragrande maggioranza dei latinos
degli Stati Uniti (49 per cento a favore, venti contro) sostiene la
distensione cubano-americana. Commentando i dati, la sondaggista
dell’Ipsos Julia Clark ha detto che il trend continuerà a crescere.
Eppure anche lo stato maggiore repubblicano nei due rami del
Congresso è sulla linea critica di Rubio e Bush. Tenendo conto che da
gennaio il Grand Old Party assumerà il controllo sia del senato sia
della camera, è facile prevedere che le decisioni assunte da Obama
potranno essere rigettate dal Congresso. O comunque potrebbe aprirsi
un’aspra battaglia tra la Casa Bianca e il Congresso controllato dai
repubblicani. Sarà davvero così? Di fatto, com’è successo sul terreno
del condono nei confronti degli immigrati clandestini, in maggioranza
ispanici, anche su quello dell’apertura a Cuba, i repubblicani rischiano
di perdere definitivamente ogni possibile contatto con l’elettorato
ispanico, dovendo sottostare al ricatto della sua destra più estrema.
Con la mossa cubana, Obama spiazza di nuovo i repubblicani, crea
scompiglio nelle sue file. Non lo fa a proprio beneficio, se non
dell’eredità politica che intende lasciare alla storia, ma sicuramente
agevola così le aspirazioni presidenziali del candidato democratico che
correrà per la sua poltrona. E che, se vincerà, lo dovrà dunque a Obama,
ma anche a Castro. E a papa Francesco.
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