Corriere della Sera 06/12/14
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L’autobiografia dell’ex estremista
nero, passato per la lotta armata e la criminalità comune prima di
interessarsi agli appalti del Comune di Roma e delle aziende di
Stato, è raccolta nelle parole di Massimo Carminati, carpite dalle
microspie del Ros dei carabinieri nell’inchiesta su Mafia capitale.
Nei nastri degli investigatori sono rimaste incise le confidenze di
un uomo di 56 anni che guarda al passato senza apparenti rimpianti, e
rievoca una vita movimentata fin da quando era un ragazzino. «Noi
eravamo piccoli — racconta a un giovane della destra radicale di
oggi — mo’ li vedi i pischelli di diciott’anni... co ‘a
biretta in mano... sò creature... Compa’ , a me m’hanno bruciato
casa due volte... vivevi con l’estintore... ti aspettavano... A
quattordici anni avevo la pistola, una 7,65, 20.000 lire la pagai...
Ci andavo a scuola con la pistola... col Vespone... Erano altri
tempi... adesso ti carcerano subito... ».
Il Libano e le
armi
Erano gli anni Settanta, quelli della politica armata che fece
tanti morti e feriti negli schieramenti opposti, e poi verso gli
obiettivi istituzionali presi di mira dalle sigle del terrorismo
rosso e nero. Il giovanotto domanda: «Erano bei tempi, pero?».
Risponde Carminati: «A vent’anni sò sempre bei tempi...». La
registrazione s’interrompe per qualche secondo, poi riprende;
frammenti di parole fra altre incomprensibili: «Neanche tanto, ne
ammazzavi di gente... poveraccio... ho sparato qua quello... del
carcere mezzi morti».
Alla fine di quel decennio di piombo e
sangue, fra il 1980 e il 1981 Carminati fuggì in Libano, dove «ti
compravi un M16 (fucile d’assalto, ndr ) con 150 dollari»,
passando da Cipro con altri camerati: «Noi stavano con dei
francesi... poi siamo andati al Sud, quando siamo dovuti scappare da
Beirut, e siamo andati all’ enclave dove... c’era un colonnello
che lavorava per gli israeliani».
Finita la stagione della
militanza, è proseguita quella dei rapporti con i banditi della
Magliana, dei quali Carminati mostra di non avere grande
considerazione: «Banda di accattoni straccioni, per carità,
sanguinari, perché si ammazzava la gente senza manco discutere, la
mattina si decideva se uno doveva ammazzare qualcuno la sera...
»
Carminati si lamenta di essere dipinto come un affiliato a
quel gruppo di malavitosi. Perché, racconta, «io ero soltanto
amico... io facevo politica, poi la politica ha smesso di essere
politica ed è diventata criminalità politica, perché c’era una
guerra a bassa intensità prima con la sinistra e poi con lo
Stato...“Il negro” (Franco Giuseppucci, ndr ) era il capo,
l’unico vero che c’è mai stato della banda della Magliana. Era
un mio caro amico, abitava di fronte a casa mia, lo conoscevo da una
vita... lui ci rompeva il cazzo, se pijavamo per il culo tutto il
giorno “vieni con noi”, “ma che cazzo me ne frega”... Insomma
c’era un grande rapporto di amicizia e conoscevo tutti l’altri.
Quando lo hanno ammazzato, sono rimasto dispiaciuto. Ho avuto,
diciamo, una sorta di rapporti con tutti ‘’sti cialtroni. Ma loro
vendono la droga, io la droga non l’ho mai venduta, non mi ha mai
interessato. Io schioppavo (rapinavo, ndr ) dieci banche al
mese».
Terminata anche quell’epoca, è cominciata l’attività
economica nelle sale gioco, insieme alle indagini che hanno portato
Carminati alla sbarra insieme all’ex presidente del Consiglio
Giulio Andreotti per il delitto Pecorelli (assolto in tutti i gradi
di giudizio, mentre Andreotti in appello si prese una condanna poi
annullata dalla Cassazione).
«Accusato di tutto»
Una vicenda
che il neo-indagato con l’accusa di essere a capo di una inedita
associazione mafiosa ricorda così: «Scrivevano su di me... io sono
stato killer della P2, killer dei servizi segreti... io sono stato
tutto ed il contrario di tutto.. omissis.. io sono stato qualunque
cosa, la strage di Bologna... tutto quello che mi potevano accollà
me lo hanno accollato». I processi l’hanno sempre scagionato dai
grandi misteri irrisolti, e Carminati ha potuto continuare a fare una
vita apparentemente ritirata ma piena di impegni e contrattazioni,
come dimostra l’ultima indagine che lo preoccupava non
poco.
«Stavolta è un grande guaio — commentava lo scorso
anno con un ex alto funzionario di Finmeccanica —... perché è
vero che... però è... cioè... vuol dire mette er cappello su tutto
il cucuzzaro ». Cioè far venire alla luce tutti gli affari occulti,
interpretano gli investigatori: unica vera preoccupazione del
presunto boss. Un sopravvissuto al colpo di pistola ricevuto in testa
quando lo arrestarono la prima volta, che oggi quasi si vanta di
temere la morte: «Tanto io mi faccio cremà ... e mi faccio buttà
nel cesso... Lascio in giro soltanto un pollice... voglio lascia’
in giro un pollice così magari quando... dopo che sono morto...
fanno qualche ditata su qualche rapina su qualche reato... così
dicono che sono ancora vivo... A me non mi frega un cazzo della
vita».
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