La Repubblica 24 dicembre 2014
VERA SCHIAVAZZI
Gian Carlo Caselli, da un anno in
pensione dopo avere come ultimo incarico guidato la Procura di
Torino, non nasconde la sua preoccupazione per la nuova ondata di
attentati ai treni che ancora ieri mattina ha dato il suo ultimo
segnale. Ma ritiene che non sarebbe opportuno se proprio lui, che
stava a capo della Procura quando per la prima volta venne richiesto
il rinvio a giudizio per terrorismo di quattro esponenti No Tav
accusati di vari reati, dovesse esprimersi sull’esistenza di un
eventuale collegamento tra quell’accusa, poi cancellata da una
sentenza della Corte d’Assise, e l’attuale ondata di violenze.
«Qualcuno, anche autorevole, l’ha scritto e motivato — dice
Caselli — ma io non intendo parlarne per evidenti ragioni di
opportunità. Voglio solo dire che oltre alle sentenze deve essere
rispettato anche il lavoro dei pm. Nessuno può pretendere di avere
verità in tasca a prescindere ».
Cominciamo dall’inizio, allora.
Quattro attentati in un solo mese, cinque in tutto, due dei quali a
Bologna con tutto ciò che di simbolico esiste in questo obiettivo.
Che ne pensa?
«Sono fatti molto recenti, con
indagini appena iniziate. Non sappiamo ancora neppure se si tratti di
attentati tutti collegati tra loro, ma è evidente che ad agire sono
parecchi individui. La seconda considerazione è che si tratta di
soggetti che commettono reati perché vogliono turbare la serenità
della convivenza civile e la regolarità dei trasporti. Si tratta di
individui che vogliono gettare disagio e paura tra i cittadini. La
politica realizzata con lo strumento della violenza, qualunque tipo
di violenza, è un piatto sporco dove in molti possono mettere le
mani. Solo più tardi, grazie allo sviluppo delle indagini, forse
sapremo di chi si è trattato in questo caso».
Definirebbe “terrorismo” quello che
sta avvenendo negli attentati ai treni?
«Scegliere tra le varie definizioni
che possono andare dal boicottaggio all’anarco-insurrezionalismo
all’antagonismo, all’eversione e al terrorismo non mi sembra il
punto essenziale fuori dal quadro tecnico-giuridico. Il punto
centrale per l’interesse dei cittadini è che si sta verificando
un’ondata di violenza che si pone al di fuori della democrazia.
Questo è quel che davvero conta. Non abbiamo per ora elementi sicuri
per dire se si tratti di attentati ricollegabili alle frange violente
più estreme del movimento No Tav, anche le scritte che sono state
ritrovate non mi paiono allo stato degli atti decisive. E tuttavia
sono numerosi gli elementi che portando in questa direzione. Al tempo
stesso ribadisco l’espressione “frange violente estreme”,
perché un conto è un movimento di protesta e un altro sono le
azioni illegali e violente».
Certo. Ma a più riprese diversi
osservatori, tra i quali anche lei, hanno rilevato una certa
indulgenza verso queste frange estreme…
«È vero. Si possono, si
devono discutere i diversi aspetti del cantiere No Tav, dai costi
fino alla opportunità e all’impatto ambientale sul territorio. Ma
un’altra cosa sono le azioni illegali o violente rispetto a
un’opera che è stata regolarmente decisa e deliberata in ogni
possibile sede competente italiana e europea. Un conto è discutere,
fare dibattiti e convegni, manifestare in strada, un altro è
assaltare con la forza un cantiere da tutti autorizzato dove si
trovano onesti operai impegnati a guadagnarsi la pagnotta e forze
dell’ordine asserragliate a difenderli. Tutto questo è estraneo
alla democrazia. La Corte d’Assise ha sentenziato che non si è
trattato di terrorismo, e questa sentenza è al momento l’ultima
parola. Tuttavia, in un procedimento gestito sempre dalla Procura di
Torino, ma dopo il mio pensionamento, l’aggravante di terrorismo è
stata di nuovo contestata per lo stesso identico fatto ad altri
imputati. E questo recentemente, per cui la questione, come si vede,
è piuttosto complessa e non può essere liquidata con qualche
disinvolto slogan sul web».
L’indulgenza verso queste frange
violente in che modo si esprime?
«Ci sono pezzi di cultura e di
informazione che tendono a far credere che le persone colpevoli di
violenze sono dei ragazzacci, dei discoli, ma che in fondo non fanno
nulla di grave. Se la prenderebbero al massimo con le cose e non
sarebbero pericolosi per le persone, circostanza quest’ultima tutta
da dimostrare se non già smentita dai fatti. E poi si aggiunge
un’altra considerazione, e cioè che in Italia ci sono tante cose
che vanno male e le frange violente non sono quella peggiore. Ma non
per questo si devono sottovalutare l’illegalità e la violenza come
arma di lotta politica che si colloca fuori da qualsiasi forma di
democrazia. Non capisco chi non lo capisce, preferendo un
atteggiamento gravemente superficiale».
Chi intende commettere violenza fa
conto su questo clima? Si appoggia a queste sottovalutazioni?
«Non lo so. Certo, il fatto che non ci
siano sufficienti condanne e prese di distanza anche da parte di quei
pezzi di cultura e informazione dei quali ho parlato non può non
convenire a chi ha scelto di praticare illegalità e violenza».
Cancellare l’accusa di terrorismo
nell’ultima sentenza di Corte di Cassazione a Torino è qualcosa
che può far sentire più “sicuri” gli attentatori?
«Come ho già detto, è una domanda a
cui non ritengo opportuno rispondere. Qualcuno lo ha osservato e
motivato, ne prendo atto ma non lo commento».
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