È stato davvero l'autunno di un importante conflitto politico, con
frequenti cadute di stile. Il sindacato vuole tenere alta la
mobilitazione, ma il premier dopo aver vinto sul Jobs Act vorrà ancora
la guerra?
Non c’è nulla di offensivo nel constatare che lo
sciopero generale di ieri, come le iniziative sindacali che l’hanno
preceduto, ha avuto un significato eminentemente politico. Perché così
verrà ricordato l’autunno 2014: come la stagione del duro confronto tra
un premier segretario del più grande partito della sinistra europea, e i
sindacati coi quali mai c’erano stati contrasti tanto forti.
È vero che nessun governo dei tempi recenti ha ricevuto un tale
“trattamento”, neanche quelli dichiaratamente di destra o quelli che
hanno spostato macigni come il sistema pensionistico. Ma non ha senso
lamentarsene, da parte dei sostenitori di Renzi. Anzi, è giusto dire che
Renzi un tale trattamento se l’è, in senso letterale, meritato.
Solo finché si è rimasti al di qua della soglia del conflitto
politico, però. Perché oltre quella soglia, sia nel mondo sindacale che
fuori, in questi mesi si è passati più volte a un altro tipo di
atteggiamento: alla delegittimazione morale, alla mostrificazione, alla
demolizione della persona e del progetto. Alla fine toccherà dire che
l’unica eredità che Renzi ha davvero ricevuto da Berlusconi è il rancore
viscerale degli oppositori, decisi a trasferire sul segretario del Pd
che li ha sfidati politicamente gli stessi stereotipi, lo stesso rigetto
e gli stessi sistemi di lotta usati contro il Cavaliere nero.
Può darsi, si spera, che per quanto riguarda le leadership sindacali
questa deriva faccia parte degli eccessi polemici messi alle spalle.
Quando il capo dello stato invita a una «discussione pacata» e al
rispetto delle prerogative di governo, parlamento e sindacati, il
messaggio è rivolto a tutti, e gli scontri di piazza ne confermano
l’urgenza.
Il Jobs Act è ormai cosa fatta, in senso appunto politico e non di
merito vista l’attesa per i decreti attuativi. La Cgil ha promesso che
terrà in piedi la mobilitazione, continuando a fare da sponda
all’opposizione che Renzi incontra nel proprio stesso partito. Vedremo
molto presto se invece lui vorrà passare a una fase nuova: incassata a
un prezzo che giudica sopportabile la vittoria sul Jobs Act, al premier
assediato da più parti potrebbe convenire allentare la tensione almeno
su questo fronte.
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