Mafia Capitale travolge la retorica che sbandiera ideali
solidaristici e nasconde una (inevitabile) dimensione di business. Oltre
al Pd e al Comune di Roma, c'è da ricostruire anche una concezione
laica dell'assistenza e del Terzo settore
Il reinserimento lavorativo di detenuti ed ex detenuti.
La manutenzione del verde pubblico. L’accoglienza per immigrati,
nomadi, rifugiati. Lo smaltimento e il riciclaggio dei rifiuti.
È difficile immaginare attività di maggiore rilevanza sociale. Ogni
volta che qualcuno di sinistra deve proporre esempi concreti di buone
politiche rispondenti ai propri valori più profondi, sicuramente citerà
almeno uno di questi settori.
Sono i capisaldi della cultura politica solidaristica, socialista o
cristiana o entrambe. «Aiutare i derelitti». «Migliorare la qualità
delle città». Generazioni di giovani entusiasti hanno regalato tempo,
energie, intelligenze, per prestazioni in gran parte volontarie che poi,
per molti di loro, sono diventate un lavoro vero e proprio. La
straordinaria occasione esistenziale di coniugare passione,
professionalità, fonte di sostentamento. Un bacino di risorse umane al
quale la politica e le pubbliche amministrazioni non possono fare a meno
di rivolgersi, per integrare prestazioni di servizi sempre più
depauperate.
Non si capisce nulla del coinvolgimento di gente di sinistra dentro
“Mondo di mezzo”, dentro Mafia Capitale, non si capisce nulla di
Salvatore Buzzi, delle sue cooperative, dei suoi referenti in
Campidoglio, della speculazione sulle emergenze, se non si parte da qui.
Non è come affidare appalti per costruire viadotti, non è come dare
licenze per nuovi centri commerciali. C’è un profondo valore sociale,
antico com’è antico il solidarismo, che definisce lo spazio comune
all’interno del quale collaborano politici, funzionari e imprenditori,
fatalmente abbattendo, aggirando o ignorando progressivamente le
distinzioni che invece dovrebbero esserci sempre fra loro, e che la
legge indica in maniera molto stringente. Si comincia con una
consuetudine, una continuità, una comodità di rapporti e affidamenti; è
possibile (ma tutt’altro che inevitabile) che si finisca col violare le
regole. A Roma stavolta si è arrivati all’associazione a delinquere.
«I poveri non possono diventare occasione di guadagno!» tuona papa
Francesco, con la sua straordinaria capacità di sintesi comunicativa. E
tocca esattamente il nervo che in questi giorni fa più male,
quell’odioso particolare che per tutti noi ha trasformato un “normale”
scandalo in uno sconcio morale.
Parole sacrosante, come si conviene a un pontefice. Eppure è stato
inevitabile che nel tempo l’assistenza agli emarginati (e l’ambiente, e
la salute) diventassero anche un business. A forte contenuto etico e
senza prospettive di lucro (come è nello statuto delle cooperative) ma
pur sempre business, con le sue regole e alla fine con le sue
deviazioni.
Allora, mentre Matteo Orfini e Ignazio Marino – la coppia più strana
che si potesse formare – si ingegnano (con tutti i nostri più sinceri
auguri) per restituire dignità e operatività al Pd e al Comune di Roma,
qualcun altro a sinistra dovrebbe cominciare a considerare che cosa
possono diventare i “valori” quando li portiamo coi piedi per terra.
Così magari impareremo a sbandierarli e usarli un po’ meno per la
retorica, per la propaganda e per la polemica politica, e a costruire
invece prassi di governo laiche nelle quali non conti più nulla la
comune appartenenza di politici e imprenditori al medesimo campo di
“ideali”.
Per il bene dei poveri, come li chiama papa Francesco. Per il bene
delle migliaia di bravissime persone che danno se stesse, vivono e
lavorano in un Terzo settore che non merita disdoro ma sostegno e
rilancio. E anche per il bene di quei lavoratori, oggi disorientati e
sicuramente spaventati, sulla cui opera l’ex detenuto Salvatore Buzzi ha
costruito il proprio impero.
Nessun commento:
Posta un commento