Il consiglio europeo dà il via libera agli investimenti scorporati
dal patto di stabilità. Festeggia il premier: «La nostra presidenza
lascia un'eredità di crescita e non più solo di austerità». A marzo la
commissione deciderà sui conti pubblici: «Ma non sorvegliamo il governo»
Un “sì” forte e chiaro, anche se ancora da definire nel
dettaglio, e un “nì” che probabilmente è più di quanto si potesse
oggettivamente sperare. È quanto ha incassato il governo italiano nella
tarda serata di ieri da Bruxelles, dove si è svolto il consiglio
europeo. L’ultimo appuntamento di fatto prima della chiusura del
semestre di presidenza del nostro paese, che avverrà formalmente il 13
gennaio.
Il “sì” riguarda il cosiddetto piano Juncker, cioè quell’impegno
sugli investimenti proposto dal presidente della commissione europea e
fortemente richiesto proprio dall’Italia. Si tratta di 315 miliardi di
euro che saranno utilizzati per rilanciare la crescita economica dei
paesi europei. Una minima parte arriverà direttamente da Bruxelles,
mentre più consistente sarà la quota che arriverà dai singoli paesi e
ancor di più quella che sarà aggiunta da investitori privati. Il
consiglio europeo di ieri ha sancito che l’investimento dei singoli
paesi sul fondo potrà essere scorporato dal patto di stabilità,
consentendo di immettere così denaro a favore della crescita senza
mettere a rischio il rapporto deficit/Pil e gli altri parametri sanciti
dagli accordi europei.
La commissione presieduta da Juncker varerà nel dettaglio il piano
nella riunione del 13 gennaio. La parola passerà quindi ai singoli paesi
chiamati a contribuire, che ne discuteranno al consiglio straordinario
del 12 e 13 febbraio, per poi far partire definitivamente il piano di
investimenti a giugno.
«L’eredità che la presidenza italiana lascia all’Europa è crescita e
non più solo austerità». Così Renzi ha salutato con soddisfazione il via
libera al piano Juncker. Il documento uscito dal consiglio europeo, ha
specificato il premier, «è di compromesso, ma il riferimento alla
flessibilità a noi va benissimo», visto che «si richiama con chiarezza
il parere favorevole della commissione, c’era invece chi voleva
cancellare l’aggettivo favorevole». Per Renzi si tratta di «un piccolo
passo avanti per l’Italia, un grade passo avanti per l’Europa».
Il presidente del consiglio ha ringraziato Juncker per il suo
impegno, mentre quest’ultimo ha ricambiato esprimendogli «piena fiducia»
e chiarendo che la commissione non ha intenzione di sorvegliare il
signor Renzi», ma che è semplicemente in corso «una discussione su un
certo numero di argomenti che riguardano i conti pubblici». Su tali
argomento «decideremo all’inizio di marzo».
Un esame che Renzi non teme: «Il grande Eduardo diceva che gli esami
non finiscono mai. Il vero esame per l’Italia sarà nel 2018 quando
tornerà alle elezioni, come tutti i paesi normali, dopo cinque anni».
Come detto, però, dal consiglio di ieri è arrivato anche un “nì” al nostro governo. Si tratta della cosiddetta golden rule,
ovvero della possibilità per i singoli paesi di proporre autonomamente
investimenti interni a favore della crescita, al di là del piano
Juncker, escludendo anch’essi – previo parere dell’Ue – dal computo del
patto di stabilità. Su questo, «la situazione è pià complicata – ha
spiegato il presidente della commissione intervistato da SkyTg24
– perché il patto di stabilità non permette a priori di avere lo stesso
tipo di trattamento». A pesare è soprattutto il no della Germania, ma
l’argomento tornerà comunque sul tavolo dei prossimi appuntamenti a
Bruxelles.
Il cambio di direzione dall’austerity alla crescita, comunque, è ormai un dato di fatto acquisito.
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