Due errori che il Pd non dovrà fare (anzi, ripetere): contare sul
magma incontrollabile dei Cinquestelle e accettare o proporre scambi sul
terreno del governo o delle riforme.
Fare politica “dentro” la crisi di Cinquestelle è
sacrosanto per qualsiasi partito, dunque anche e soprattutto per il Pd.
Non è però consigliabile farsi troppe illusioni. I retroscenisti possono
sbizzarrirsi su scenari di acrobatiche manovre parlamentari che
potranno anche svolgersi, nelle ore prevedibilmente concitate dello
scrutinio sul Quirinale quando esso si svolgerà, ma alle quali non
sarebbe saggio affidare in partenza una scelta cruciale come quella del
successore di Giorgio Napolitano. Fa benissimo Renzi a respingere
domande e congetture sull’argomento.
La crisi del gruppo di Beppe Grillo è lontana dall’essersi consumata,
anche se appare irreversibile, ennesima prova di un’idea della politica
che a sinistra dobbiamo tenere ben salda: la forza e la riconoscibilità
di una leadership personale sono fattori irrinunciabili della
democrazia contemporanea, ma quando tutto è legato solo al carisma, alla
tenuta e alla fortuna di un unico uomo, ascesa e declino di
un’esperienza politica sono altrettanto rapide. E siccome è evidente che
Grillo non tornerà mai più il protagonista devastante e vincente del
2012-2013, la sua creatura appare destinata a spegnersi.
Non è ancora accaduto, però. Non accadrà entro i prossimi due mesi,
per quanto duro possa essere lo scontro con l’ala di Pizzarotti.
Grillini lealisti e grillini dissidenti si muoveranno ancora numerosi in
parlamento secondo logiche imprevedibili, ingovernabili.
Ecco perché è necessario che il Pd costruisca un percorso di
avvicinamento autonomo, tenendo la barra ferma sull’unico fondamentale
concetto della ricerca del consenso più ampio possibile sulla
personalità migliore possibile.
La scadenza presidenziale è già piena di insidie in sé. Il modo più
sicuro di renderla drammatica è replicare l’errore compiuto dal Pd venti
mesi fa: legare l’elezione del capo dello stato ad altre partite
(allora, la disperata ricerca di un via libera per il governo “di
cambiamento”). Più Renzi terrà il Quirinale lontano e distinto dalla
sorte del governo e delle riforme, meglio sarà per tutti. Senza
accettare né proporre scambi con capipartito ormai senza partito come
Berlusconi e Grillo.
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