Tutti sorpresi dal discorso di saluto (e di commiato) del capo
dello stato: appoggio pieno a Renzi, al suo governo, ai suoi ministri
(Padoan soprattutto) e alle sue riforme. Con bacchettate a oppositori e
ostruzionismi e una forte richiesta di stabilità e continuità. Concetti
che aiuteranno nella scelta del successore al Quirinale.
La nomenklatura nazionale sussurra, si scambia sguardi,
sgrana gli occhi. Qualcuno scuote il capo, qualcuno sorride, tutti
ammettono la sorpresa. Perché certo, era nelle cose che il capo dello
stato ribadisse la necessità di stabilità politica, l’urgenza delle
riforme, la domanda di coesione sociale. Ma neanche Matteo Renzi – lo
stesso Renzi che un anno fa di questi tempi sgattaiolò via dal Quirinale
dopo il discorso presidenziale, evitando saluti e contatti,
evidenziando tutta la distanza tra sé e i frequentatori del rito di
Palazzo – neanche colui che nel frattempo è diventato presidente del
consiglio poteva sperare di ricevere da Napolitano una simile promozione,
accompagnata da micidiali puntualizzazioni a carico di tutti gli
oppositori del governo, largamente rappresentati nel salone dei
Corazzieri del Quirinale con l’eccezione dei grillini.
Napolitano non ne risparmia nessuno: non quelli che sminuiscono il
cambio di status dell’Italia in Europa; non i sindacati, laddove non si
fermino al proprio ruolo rispettando il diritto di governo e parlamento
di fare le leggi; non chi fa ostruzionismo su riforma del bicameralismo e
riforma elettorale; non quelli che nel Pd o sui giornali discettano di
scissioni; non quelli che dubitano dell’efficacia delle misure di Padoan
per la crescita e degli interventi del governo per risolvere le crisi
aziendali. Insomma, Renzi non ha mai avuto un sostenitore così convinto,
autorevole, energico e puntuale.
Perché è successo? E quali conseguenze può avere?
Perché Napolitano si sia tanto sbilanciato, è presto detto. Può darsi
che fra un mese e mezzo l’inquilino del Quirinale sia un altro,
l’attuale si accinge a lasciare per una sacrosanta stanchezza personale.
Allora Napolitano si preoccupa di due cose: di proiettare il messaggio e
il vincolo della stabilità politica su un futuro nel quale verranno
meno la sua funzione e la sua convinzione, fattori cruciali soprattutto
negli ultimi tre anni della tenuta del paese, fra tante minacce e tanti
cambiamenti traumatici; e di poter rivendicare l’utilità della scelta
(obbligata) di farsi rieleggere nel 2013, e in generale dell’intera sua
opera di promozione delle riforme nei confronti di un sistema dei
partiti lento, recalcitrante quando non apertamente ostile al tema.
Il presidente non ignora e non nasconde la persistenza della crisi
economica, la fatica e le paure degli italiani, i problemi irrisolti, le
anomalie persistenti come il ricorso abnorme alla legislazione
d’urgenza, la minaccia rappresentata dalla risorgenza criminale, dalle
infiltrazioni, dalla terribile immagine trasmessa da fatti come quelli
di Roma.
E però sceglie – qualcuno potrebbe dire, “renzianamente” – il
messaggio dell’ottimismo. Della possibilità di farcela. Le fabbriche
chiudono, ma tante vertenze si risolvono (grazie al governo). L’Europa è
esigente, ma noi abbiamo le carte in regola (grazie al ministro
Padoan). Le riforme sono incomplete, però all’estero apprezzano che ci
si sia messi seriamente al lavoro (di nuovo, grazie al governo).
Citando l’ormai antico dibattito tra costituzionalisti, Napolitano se
la prende con chi ancora resiste alla cancellazione del senato
elettivo: ne parlavano Elia e Mortati, Meuccio Ruini… ora non possiamo
considerarla «un tic da irrefrenabili rottamatori», e nessuno può dirsi
«nato ieri, ovvero nel febbraio 2013».
Sono frasi che scuotono le grisaglie nel salone dei Corazzieri. Manca
solo che il capo dello stato se la prenda con gufi e rosiconi, ma
l’identificazione col presidente del consiglio è già abbastanza
impressionante così. Con un tocco in più, che autorizzerà qualche
battuta su un discorso “alla Orfini” più che “alla Renzi”: perché solo a
un vecchio o a un giovane comunista poteva venire così aspra e
sferzante la reprimenda a chi nel Pd accarezza suggestioni scissioniste.
Ora rimane da chiedersi se e come questo discorso – e questa
determinazione, e linea politica – potrà proiettarsi sul passaggio di
consegne quirinalizie. L’impressione è che Napolitano farà tutto quanto è
nel suo potere perché la scelta e l’elezione del successore avvengano
in piena stabilità istituzionale e continuità politica («non si attenti
in qualsiasi modo alla continuità di questo nuovo corso»).
Questo significa che chiunque pensasse a elezioni anticipate più
facili col nuovo presidente, deve scordarsele. Fosse pure Renzi questo
chiunque (secondo molti, anzi, questo passaggio era diretto
principalmente al premier).
Ebbene, questo messaggio non può che cadere bene tra deputati e
senatori, di tuttissimi i partiti. Rasserenarli sul futuro almeno
immediato. Renderli più disponibili a soluzioni e candidature, appunto,
«di continuità».
Napolitano non si illude che il parlamento possa regalare a lui e
all’Italia un presidente clone: non sarebbe neanche sano, e augurabile.
Ma farà di tutto perché il prossimo capo dello stato condivida l’idea
dell’Italia e della democrazia che lui ha cercato di difendere e
rivitalizzare per otto anni e mezzo.
Da ieri pomeriggio, Matteo Renzi è ancor più di prima tenuto a compiere lo stesso sforzo.
Nessun commento:
Posta un commento