Corriere della Sera 09/12/14
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Davanti alla torta Sacher che i Giovani
democratici gli hanno regalato per il primo anno al Nazareno, Matteo
Renzi immagina il giorno in cui passerà il testimone alla nuova
generazione. «Il mio governo durerà fino al 2018, poi al massimo
farò un altro mandato — dice ai ragazzi di «Factory 365» che se
lo litigano per un selfie —. Dopodiché toccherà a voi, ma intanto
datemi una mano».
Il Pd riparte dalle giovani leve. All’ex
mattatoio di Testaccio, monumento di archeologia industriale che
tanto ricorda la sua Leopolda fiorentina, Renzi appare con un
maglioncino rosso e ci scherza su: «A stare accanto a Orfini
succedono cose drammatiche!».
Dal palco il leader punta tutto
sull’orgoglio democratico, lascia in coda la questione romana e non
pronuncia mai il nome del sindaco Ignazio Marino, poi si chiude
dietro le quinte con l’esecutivo dei giovani «dem». La torta
ipercalorica la lascia nel piatto, limitandosi a mangiare la scritta
di cioccolato «Auguri segretario». Poi, molto divertito, spegne la
sua prima candelina: «Io sono diventato premier saltando due
generazioni, voi invece avete davanti solamente quelli della mia
età...». Quindi ribalta l’acronimo GD e lo declina in «Gruppo
Dirigente». È un passaggio simbolico, studiato per spazzar via
almeno a parole un’intera classe politica, quella che ha tirato
anche il Pd dentro lo scandalo di «Mafia Capitale». Tra i 1.500 che
in due giorni si sono fatti vedere alla convention della giovanile
democratica, fanno notizia anche le assenze nel parterre. Nella
giornata di Renzi gli assessori della giunta Marino e i consiglieri
del Campidoglio sono rimasti a casa e così tanti pezzi grossi della
politica romana come Bettini, Marroni, Campana, Melilli, Cosentino...
Il vicesegretario Davide Ragone — che viene dalla Sant’Anna di
Pisa come Enrico Letta, è avvocato e collabora al governo con il
ministro Maria Elena Boschi — conferma che «tanti volti romani»
non sono stati invitati ed «altri, forse, hanno ritenuto che non
fosse il contesto giusto per farsi vedere». Il coordinatore Andrea
Baldini schiva le polemiche e spiega che, essendo «Factory 365» una
iniziativa nazionale, si è scelto di invitare i big nazionali:
«C’erano Renzi, Orfini, Zanda e al posto di Speranza è venuto
Gero Grassi... Pippo Civati aveva altri appuntamenti in agenda e
secondo me ha sbagliato».
Spazio per i capicorrente al
Mattatoio non ce n’è. Come rimarca Baldini, laureato in scienze
statistiche e dottorando in Macroeconometria, è ora che i
democratici «si tolgano le magliette di dosso». Basta con i
civatiani, i renziani o i turchi: «Noi siamo il Pd». Maddalena
Misseri, 23 anni, studia alla Sapienza e sogna di diventare
giornalista e secondo i vecchi cataloghi sarebbe classificata come
renziana, ma «prima di tutto» dice di sentirsi democratica: «Ho
preso la tessera dei Ds che avevo 14 anni e sono iscritta al circolo
pd di Ponte Milvio, la sezione di Berlinguer. Ma il termine “ditta”
non mi piace, preferisco parlare di comunità». E c’è anche
Tommaso, vent’anni, pronipote del leader comunista Giorgio
Amendola. La tessera del Pd l’ha in tasca da due mesi: «E posso
assicurare che è una prova di coraggio».
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