Corriere della Sera 08/12/14
danilo taino
Difficile vivere quando la troika è in
città. Lo sa il primo ministro greco Antonis Samaras, che sperava di
liberarsene entro quest’anno e che invece, con ogni probabilità,
oggi a Bruxelles si sentirà dire che Atene la dovrà subire almeno
per tutto il 2015 e una parte del 2016. E lo sanno tutti i greci, dal
maggio 2010: mentre la crisi finanziaria stava precipitando,
accettarono il primo pacchetto di aiuti internazionali e il controllo
delle scelte economiche a Ue, Banca centrale europea, Fondo monetario
internazionale (Fmi). Un terzetto diventato da allora, secondo molti,
sinonimo di umiliazione, oltre che di esproprio della sovranità
nazionale. In questi giorni in Grecia sta succedendo qualcosa che è,
ancora una volta, un’anticipazione di quello che può accadere
altrove, in Europa: dove la crisi politica è ormai la continuazione
della crisi finanziaria, con altri incubi.
Alla riunione dei
ministri finanziari della Ue, Samaras arriva con numeri incoraggianti
sul versante economico, con un grave errore di valutazione e con
prospettive politiche oscure. A Bruxelles i funzionari sul dossier
Grecia dicono che la possibilità di porre termine allo stato di
Paese in salvataggio — di uscire dall’era del Memorandum, come
dicono ad Atene in riferimento agli impegni di riforma e risanamento
dei conti pubblici sottoscritti — sono praticamente nulle.
Non
si può dire che, dopo 5 anni drammatici, l’economia sia tornata
brillante. Il Paese è in deflazione da due anni, la disoccupazione è
superiore al 25%, più di un terzo dei cittadini è a rischio
povertà. Però, per la prima volta quest’anno, il Pil crescerà,
attorno allo 0,6%, e l’anno prossimo di quasi il 3%, secondo l’Fmi.
Il turismo è in boom, alcuni investimenti dall’estero sono in
arrivo. E il bilancio dello Stato dovrebbe registrare un avanzo
primario (prima degli interessi sul debito). Sulla base di questi
risultati, Samaras aveva puntato a uscire dalla tutela della troika e
di tornare a finanziarsi autonomamente sui mercati, come hanno fatto
gli altri due Paesi sottoposti negli anni scorsi a procedura di
salvataggio, Irlanda e Portogallo. Qui, l’errore di valutazione: la
prospettiva ha spaventato i mercati, i tassi d’interesse sono
tornati a salire e il progetto di raccogliere 9 miliardi nel 2015 è
sfumato. Ora servirà un nuovo prestito internazionale di una dozzina
di miliardi, con la conseguente necessità di rimanere sotto la
tutela internazionale.
In questo quadro, la prospettiva politica
è da cambio di regime. Tra manifestazioni anche violente, ci si
prepara alle elezioni presidenziali (indirette) di febbraio. Se la
maggioranza, che conta su 155 seggi in Parlamento, non riuscirà a
raggiungere i 180 voti per eleggere un suo candidato, con ogni
probabilità si andrà a elezioni anticipate, a marzo. E secondo i
sondaggi le vincerebbe Syriza, il partito di sinistra guidato da
Alexis Tsipras contrario a rimanere sotto la cappa del Memorandum.
Dopo un road-show nella City di Londra tenuto da alcuni esponenti di
Syriza, tra gli investitori internazionali si è diffuso un mezzo
panico, spaventati dalle posizioni caotiche del partito oggi dato tra
i 4 e i 7 punti in vantaggio su Samaras. C’è chi è tornato a
parlare di «tragedia greca».
Se Syriza vincesse le elezioni e
Tsipras cercasse di formare un governo, i mercati tornerebbero a
vacillare e la crisi politica arriverebbe a Bruxelles, a rimettere in
discussione 5 anni di strategia salva euro. Il fatto è che il 2015
potrebbe essere di fuoco, per la politica europea, non solo a causa
della Grecia. Le elezioni britanniche saranno un test sulla
permanenza o meno del Regno nella Ue, con il «separatista» Ukip
forte nei sondaggi. In Spagna, altro Paese dove si terranno elezioni,
è dato in crescita Podemos, partito non lontano dalle posizioni di
Syriza. Persino nella storicamente stabile Svezia, il nuovo governo è
appena caduto e ha indetto elezioni anticipate che saranno giocate
sui temi dell’immigrazione e dell’Europa. Atene sarà solo
l’inizio di un altro anno complicato.
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