lunedì 23 giugno 2014

“Senza la moneta unica, staremmo tutti molto peggio, al nord come a sud non vanno rimpiante le valute nazionali. Quel passato non può essere più ricreato”


La Repubblica - 22/6/14
MARTIN VISSER, RONALD VAN GESSEL

«La ripresa c’è da nove mesi, ma è ancora debole e distribuita in modo squilibrato. E vulnerabile. Rischiamo ancora qualche incidente nell’economia globale. Nel caso, tutto cambierebbe in fretta, magari con tracolli sui mercati finanziari e rischi geopolitici. I nodi restano lavoro e inflazione bassa. E l’unione monetaria non è ancora completata. Bisogna salvare l’euro. Senza, con le valute nazionali, staremo tutti molto peggio, a nord come a sud». Così il presidente della Bce Mario Draghi, in questa intervista a caldo sulle sfide per l’Europa.
Presidente, il capo dell’Eurogruppo Dijsselbloem ha detto di recente che la crisi è finita. Che cosa ne pensa?
«La ripresa è ormai in corso da 9 mesi. Ma è ancora debole e distribuita in modo disuguale nell’eurozona. Ed è vulnerabile. Possono verificarsi incidenti nell’economia globale che cambierebbero rapidamente la situazione. Potrebbe arrivare una disruption dei mercati finanziari, o rischi geopolitici. Inoltre, la disoccupazione si sta stabilizzando, ma è ancora molto alta. Già solo questo dramma pone un rischio alla ripresa perché riduce la domanda dei consumatori ».
Rispetto al Regno Unito e agli Usa, la ripresa nell’eurozona è relativamente debole. Perché?
«La nostra ripresa è a uno stato iniziale rispetto agli Usa, al Regno Unito e al Giappone. Perciò la Bce ha adottato alcune misure il 5 giugno: i tassi più bassi (e tasso di deposito negativo per le banche), l’appoggio alle banche subordinato alla concessione di credito, la preparazione di un programma di acquisti di titoli. In aprile osservai, ad Amsterdam, che tre situazioni potrebbero spingere la Bce all’azione. La prima, una stretta della politica monetaria, che si riflette in un aumento dei tassi a breve con conseguenze su crescita e stabilità dei prezzi. La seconda, il continuo deterioramento del credito. Già debole da lungo tempo. La terza, un peggioramento delle prospettive di stabilità dei prezzi a medio termine».
Tre circostanze negative simultanee?
«Abbiamo risposto dapprima alle prime due. La bassa inflazione persiste. Se durerà troppo a lungo, il risanamento nei Paesi in crisi sarà più difficile. I salari in quelle Nazioni dovranno calare per migliorare la competitività».
Cioè il debito alto pesa di più con l’inflazione bassa?
«Certamente, ecco un’altra conseguenza della bassa inflazione. La riduzione dei livelli di debito, molto importante in grandi parti dell’eurozona, diventa più difficile con la bassa inflazione. Parlo del debito privato come di quello sovrano».
Gli europei del nord si sentono obbligati a pagare per gli errori degli europei del sud. Lei ha comprensione per questo punto di vista?
«Sono ben consapevole di questo conflitto. Pochi mesi fa argomentai a una conferenza negli Usa che esistono squilibri di prima grandezza tra i Paesi dell’eurozona, tra grandi debitori e grandi creditori. E che non è mai stato un obiettivo dell’Unione monetaria europea creare creditori e debitori permanenti. Bisogna puntare a un’Unione equilibrata. Un ospite americano replicò che negli Usa il problema non si pone. Stati come l’Oklahoma sono sempre stati debitori mentre New York sempre creditore. Ecco il cuore del problema. I debiti di tutti i cittadini degli Usa sono considerati uguali, prescindendo dal loro luogo di residenza negli Stati Uniti».
Perché gli Usa sono un’unione politica e noi europei no?
«Senza dubbio. Gli olandesi percepiscono un problema quando pagano per i greci, non quando pagano per altri olandesi. Ma concentriamoci un attimo su questo concetto di “pagare”. Non è poi così chiaro che alcuni Paesi abbiano pagato per altri. In Grecia, c’è stato un condono di debiti dovuti al comparto finanziario, ma non un default ulteriore. All’eurozona sarebbe costato molto di più salvare le proprie banche».
La Grecia, caso limite, riuscirà a ripagare i suoi debiti?
«Se la Grecia continuerà con le sue riforme strutturali, se riporterà ordine nelle sue pubbliche finanze e migliorerà la sua competitività, la crescita aumenterà. In questo caso, Atene riuscirà a rimborsare. Nei prossimi 5 anni, il servizio sul debito greco è minore di quello del Belgio. La maggior parte del debito greco ha interessi bassi e tempi di maturazione lunghi».
La Bce non ha ancora acquistato titoli sovrani. Che cosa deve accadere per convincervi a cominciare ad acquistarli?
«Sarebbe la risposta al terzo scenario che ho menzionato prima. Al momento comunque ci concentriamo sulle misure annunciate il 5 giugno ».
E’ legale per la Bce acquistare titoli sovrani?
«Senza dubbio è possibile nell’ambito del nostro mandato, se gli acquisti sono mirati al conseguimento della stabilità dei prezzi. Non ci è permesso fornire finanziamento monetario agli Stati».
Lei è stato felice della decisione unanime (Bundesbank compresa, ndr) presa il 5 giugno. L’unanimità sarà possibile anche su un “quantitative easing”?
«Ogni ipotesi sarebbe prematura, un quantitative easing può includere titoli sovrani ma anche prestiti privati. Ne discuteremo a tempo debito ».
La sua dichiarazione, “salvare l’euro a ogni costo”, con l’annuncio del programma di acquisto di titoli sovrani, fu una svolta nell’eurocrisi. E’ ancora necessaria o no?
«Il programma delle Outright monetary transactions (Omt) è mirato a un rischio, specifico, di spaccatura dell’eurozona».
Può succedere?
«Nel luglio 2012, i motivi di preoccupazione erano più che sufficienti. Dissi allora a Londra che un errore di molti era sottovalutare quanto capitale politico è stato già investito nell’euro. Poco prima di queste mie parole, i leader politici europei in un loro summit presero impegni totalmente vincolanti, nel cui contesto fu creata l’Unione bancaria».
Le Omt sono come la bomba atomica, un deterrente da minacciare ma che non sarà mai usato?
«I mercati hanno reagito all’annuncio delle Omt in modo da rendere non necessario il ricorso al programma. Gli spread tra i tassi d’interesse dei titoli sovrani dei Paesi meridionali dell’eurozona e la Germania si sono ristretti in modo nettissimo. E’ stato un risultato che nessun’altra misura avrebbe conseguito. Per essere credibili, dobbiamo essere sicuri che potremmo usare lo strumento. Non è un bluff».
Ma se lei dà tanto tempo ai leader politici, loro non sentiranno più il bisogno di varare riforme in fretta.
«Sì e no. Abbiamo il mandato di salvaguardare la stabilità dei prezzi. Non siamo responsabili, noi della Bce, per come i politici usano il tempo che hanno a disposizione. Ma guardate all’entità delle riforme dal 2012: i progressi sono considerevoli. La Spagna ha ristrutturato il suo settore bancario e il mercato del lavoro. Portogallo, Irlanda rappresentano altri esempi, persino in Grecia i progressi sono notevoli».
Lei dice spesso che l’euro è irreversibile.
Spetta a lei dirlo o ai politici?
«Il nostro mandato, insisto, è la stabilità dei prezzi. E’ evidente che un collasso dell’euro minaccerebbe la stabilità dei prezzi, agiamo secondo il nostro mandato».
Salvando l’euro ha preso una decisione politica?
«No. Non era un tema politico. Guardiamo indietro, al 2012: alti livelli dei tassi sui mercati danneggiavano l’economia reale e il settore bancario. Tra le conseguenze possibili c’era una nuova crisi del credito».
Il coordinamento delle politiche economiche nell’eurozona è solo un primo passo?
«Sì, senza dubbio».
Quali saranno i prossimi passi?
«Questa sì è materia di decisioni politiche. La sovranità su accordi di bilancio è stata condivisa. Bisognerebbe fare così anche per mercato del lavoro e competitività, burocrazia e mercato interno. La sovranità va condivisa al di sopra del livello nazionale. Ci sono diverse opzioni: dare più poteri alla Commissione Ue, o agli Stati membri nel Consiglio europeo, o creare nuove istituzioni europee. Non spetta a me decidere».
L’unione monetaria allora non è completata?
«No, molto ancora serve per una perfetta unione monetaria. Il prossimo passo è subordinare anche le riforme strutturali a una disciplina europea».
Tornando al suo esempio dell’Oklahoma negli Usa, quale solidarietà è necessaria nell’eurozona?
«Gli Usa sono un solo Paese, l’eurozona no. Data la nostra struttura ben più complessa, dobbiamo cercare un sistema che assicuri che la politica economica sia tema d’interesse comune».
Ma il risultato delle elezioni europee è anche un no al trasferimento dei poteri. Ha una soluzione al dilemma?
«Siamo davvero sicuri che staremmo meglio, se avessimo ancora le valute nazionali? Negli anni ‘80 e ‘90 avemmo molte svalutazioni, con un’inflazione spesso alta. Oggi abbiamo un altissimo grado di stabilità dei prezzi e un basso tasso d’inflazione. Abbiamo opportunità enormi per crescita e lavoro. Non è colpa dell’euro se le politiche economiche sono state sbagliate in alcuni Paesi. C’è chi vorrebbe tornare 30 o 40 anni indietro, io preferisco andare avanti».
La gente vede nell’euro la causa di crisi e disoccupazione «Crisi e disoccupazione sono il risultato di una gravissima difficoltà finanziaria e in parte di politiche economiche errate. L’euro non le ha causate. Dobbiamo porre fine alla crisi nell’eurozona e tornare a creare crescita e lavoro».
Ma molti vertici europei non sono serviti a nulla: che fare, ora?
«Non possiamo accettare questo presente, di bassa crescita e di insufficiente creazione di posti. Ma non dobbiamo rimpiangere un passato che non può essere ricreato né essere considerato migliore del presente. Dobbiamo lavorare per il futuro, e creare non solo stabilità ma anche crescita e lavoro».



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