lunedì 9 giugno 2014

Il voto del Pd, vedi alla voce polemiche inutili

Mario Lavia 
Europa  

Sbagliati i rimpalli di responsabilità sulle città perdute. Il fatto clamoroso è l'inedita affermazione al Nord
Nanni Moretti, nel suo film Aprile, a un certo punto raccoglie una cartellina contenente articoli di giornale intitolata “Polemiche inutili”. Era il ’96, era l’Aprile ulivista, e malgrado la vittoria – o forse proprio per questo – a sinistra divamparono presto varie polemiche. E così andò avanti per anni. Praticamente fino a ieri.
Ci risiamo. Essendo impossibile fare polemiche su un partito che il 25 maggio ha preso il 40 per cento, tac, ecco che due settimane dopo l’astinenza viene subito colmata: si è persa Livorno? Colpa di chi c’era prima. No, colpa di chi c’è adesso. Rottamiamoli tutti. Macché, è questo clima che ci fa perdere. Un po’ la brutta copia delle teorie contrapposte: i (presunti) tangentari appartengono alla vecchia guardia mentre la vecchia guardia ricorda che i (presunti) tangentari appoggiarono il nuovo corso.
Così si rinfocola un clima di sospetti e rancori che si sperava evaporato nel cielo di un Pd tornato a vincere. Ma soprattutto si finisce con lo smarrire il senso vero di questa parzialissima e poco partecipata tornata amministrativa. Che ci pare riassumibile in tre punti.
1) Circola impetuoso per l’Italia un vento di rinnovamento, sotto svariate forme (alcune delle quali molto discutibili, vedi il consenso ad un partito   ondivago come Cinquestelle), che finisce col  punire selvaggiamente Forza Italia (lo si è visto alle politiche ma anche in questa tornata, facendo vittime illustri come l’ex sindaco di Pavia Cattaneo, formattato dagli elettori) ma anche un dominio lunghissimo del centrosinistra in realtà come Livorno e Perugia. Questo è un dato politico che riguarda tutti gli attori politici e che impone a ciascuno il problema di un radicale rinnovamento, dei programmi e delle facce.
2) Il bilancio del Pd è largamente col segno più. Con un dato che balza agli occhi e che andrà analizzato bene: il primato del Pd al Nord. In Veneto, in Lombardia. Qui il dato di ieri è clamoroso. Sta a significare che i ceti più produttivi, il tessuto industriale del Nord, piegato dalla crisi ma non vinto, si aggrappa al partito di Renzi come unica chance di salvezza e di ripresa. Questo dato pone fra l’altro alla Lega di Salvini il compito di sintonizzarsi con questo nuovo orientamento che sboccia proprio nelle regioni dove essa è più presente. E certamente mette al governo ancora più fretta nel fare le cose che servono, perché questo – Renzi lo sa – è un voto esigente, non scontato una volta per tutte, anzi.
3) Quest’ultimo punto, infine, è il più complesso di tutti. Riguarda la volatilità del consenso, tratto tipico delle democrazie mature ma abbastanza inedito per un paese come il nostro che per decenni ha votato alo stesso modo. Ora non più. Adesso si premia Renzi se promette cose giuste, e lo si punirà se non la avrà fatte. Vale a maggior ragione per i sindaci, per i presidenti delle regioni. La politica, in questo senso, si fa più difficile, perchè i cittadini, cadute le ideoogie e le vecchie appartenenze, ti chiedono il conto. Senza guadare in faccia nessuno. Chiamatelo pure pragmatismo: è la politica contemporanea.

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