mercoledì 31 agosto 2016

E' APERTA LA CACCIA A RENZI.


Sandro Albini
31 agosto 2016
Iniziò Ostellino sul Corriere esattamente due anni fa. Si accodò Scalfari e via via tutta la "intellighenzia". Nessuna accusa precisa, dava loro fastidio un Presidente del Consiglio (un ragazzo, chiosa ancora oggi D'Alema) il quale osa governare senza chiedere il permesso agli "illuminati". In questi due anni cosa è successo? Il Governo ha lavorato a riforme, dal mercato del lavoro, alla scuola al sostegno dei redditi più deboli, alla gestitone del fenomeno migratorio, alla riforma costituzionale, ecc.. Ha riportato un filo di fiducia nel nostro futuro, nonostante le opposizioni abbiano fatto di tutto per mettere in discussioni ogni provvedimento inventandosi bugie. E' stato presente sullo scenario europeo e si è mosso per sostenere le attività economiche all'estero. Ha sostenuto l'impresa di Marchionne nel ricreare nel nostro Paese una industria automobilistica ormai estinta. Cosa c'è di negativo? Ha rubato? No, nel Governo ci sono stati casi di corruzione? No, Qualcuno è inquisito? No. Hanno tentato perfino di scaricare sui figli presunte colpe dei padri, ritirandosi poi di soppiatto per mancanza di polpa. E' antipatico? ad alcuno può non piacere il suo modo di porsi e l'ottimismo di default: ma è segno di cattiva politica in un paese ciclicamente depresso? No. Eppure si assiste ogni giorno ai latrati della muta famelica, la quale, sentito odore di sangue, cerca di avventarsi sulla preda e sbranarla. Non solo i cani perduti senza collare ma anche i molossi domestici. Questo è un Paese solidale (a tempo limitato) nelle sciagure, pieno di voglia di cambiare che però si squaglia alla prima avvisaglia di reale modifica dello "status quo", come è nel caso di chi appena nato sulla scena del "cambiamento" fa di tutto perché ciò non avvenga. Disposto ad apparire trionfante in TV a cavallo della motocicletta per poi sfrecciare su comode e lussuose automobili. Si vuol cambiare l'Italicum? Per finire come la Spagna e il Belgio senza governo da un anno e ripetuti inutili ricorsi alle urne perché le loro leggi elettorali producono rappresentanze sterili? Oggi spuntano proposte "benaltriste" da parte di chi per 20 anni non ha concluso nulla: fumo negli occhi. La muta è composita, ci sono "fascisti" accanto a "partigiani", intellettuali accanto a bulli e bulletti, moderati verso estremisti di destra e di sinistra, insomma una caravanserraglio dove ognuno cerca visibilità saltando sul carro dei presunti vincitori e, nel caso riescano nel loro intento poter dire: c'ero anch'io! L'unico modo per evitare che si compia questo iniquo disegno è fare campagna perché il SI sconfigga il no dei conservatori di tutti i colori e di tutte le correnti.

martedì 30 agosto 2016

Renzi avverte l’Ue: “Quel che serve lo prendiamo”


Stefano Minnucci
L'Unità 30 agosto 2016
Il premier annuncia l’intenzione di muoversi unilateralmente nella trattativa con la Commissione Ue sulla flessibilità
“All’Europa diciamo che quello che serve per questo piano lo prendiamo. Punto”. Matteo Renzi si mostra risoluto e deciso nel portare avanti il progetto di prevenzione e adeguamento antisismico del Paese, quel piano che lui stesso ha definito “Casa Italia” e che nei prossimi giorni presenterà a tutti i soggetti interessati: enti, istituzioni, parti sociali e imprenditori.
“Casa Italia è un progetto che riguarda tutto il Paese – ha detto in un intervista al Tg1 – e serve a riuscire a prevedere, ad anticipare anziché rincorrere, non è solo un progetto anti-sismico ed è un progetto che può essere fatto tutti insieme a condizione di avere a cuore il futuro della nostra famiglia italiana”. Così ha spiegato ed elencato i settori principali che Casa Italia andrà a toccare, dal dissesto idrogeologico al risparmio energetico e rivolgendosi all’Ue, ha sottolineato che per questo progetto “quello che serve lo prendiamo, punto”.
Per il premier insomma è necessario un deciso cambio di mentalità, andare oltre l’emergenza, oltre la ricostruzione e ragionare una volta per tutte sulla prevenzione e sulla messa in sicurezza dei nostri territori. Ma per farlo servono le risorse. E non poche.
Uno dei direttori generali del Dipartimento della Protezione Civile, Mauro Dolce, nei giorni scorsi ha parlato di una cifra sull’ordine di 50 miliardi solo per l’adeguamento sismico degli edifici pubblici. Per non parlare poi di tutti gli edifici privati. Secondo una stima fatta dal Consiglio nazionale degli ingegneri nel 2013, per mettere in sicurezza le case di tutti gli italiani servirebbero poco meno di 100 miliardi.
Sono risorse ingenti, notevoli, che contrastano fortemente con le richieste europee di non eccedere con deficit e debito pubblico rispetto al Pil. E al momento Bruxelles è cauta sull’esclusione delle spese antisismiche pluriennali dal Patto di Stabilità. La Commissione sembra infatti disposta a concedere una flessibilità ‘una tantum’ per le spese legate al breve termine e all’emergenza, ma non a permettere lo scorporo dal deficit per un progetto pluriennale di messa in sicurezza come quello che immagina Renzi. Ecco perché il premier ha annunciato l’intenzione di muoversi unilateralmente impostando la trattativa con fermezza, ancor prima che parta. Occorre mettere al sicuro gli edifici pubblici, questa è la priorità, e su questo il premier non sembra transigere.
Domani si terrà il vertice intergovernativo Italia-Germania a Maranello, presso la sede della Ferrari e  inevitabilmente Renzi e Merkel affronteranno la questione. Il tema in agenda era il rilancio di un’Europa un po’ claudicante dopo la Brexit, ma è chiaro che dopo la tragedia del 24 agosto si finirà a parlare anche del post-terremoto in Italia. D’altra parte la Germania è un attore fondamentale per far sì che all’Italia venga concessa più flessibilità di bilancio.
Quanto alle altre due fasi – emergenza e ricostruzione – sempre in ambito europeo si potranno ottenere importanti risorse per lo stato centrale.
Dall’Ue sono infatti disponibili da subito 5 milioni di euro dal Pac. Ma un forte sostegno economico arriverà dal Fondo di solidarietà Ue, al quale l’Italia può accedere chiedendone l’attivazione entro 12 settimane dal disastro. Il fondo è nato per rispondere alle grandi calamità naturali ed esprimere la solidarietà europea alle regioni colpite all’interno dell’Unione e già in passato è stato utilizzato per i terremoti di Molise, Aquila, Emilia-Romagna.
In questo caso la Commissione valuta la richiesta e, se questa viene accettata, propone l’ammontare dell’aiuto al Consiglio e al Parlamento europeo che devono darne approvazione prima dell’erogazione.
La cifra che verrà negoziata, secondo fonti del ministero dell’Economia e delle Finanze, non è da sottovalutare e si aggirerà intorno ai 350-400 milioni.

Il Fatto, Salvini e Grillo contro l’Italia migliore: senza rabbia non avrebbero un lavoro


Fabrizio Rondolino
L'Unità 30 agosto 2016
Matteo Salvini, la Casaleggio Associati srl e il Fatto, dopo un breve attimo di sbandamento, hanno ripreso a soffiare sul fuoco nichilista della disperazione
Il terremoto del 24 agosto ha modificato profondamente il clima civile e politico del Paese. Al netto della retorica – che pure svolge una funzione essenziale nella costruzione di una comunità condivisa – e del senso di spaesamento che ogni catastrofe naturale porta con sé, inchiodandoci alla nostra fragile insignificanza al cospetto di una forza – la “natura indifferente”, secondo una fortunata espressione leopardiana – che non possiamo né prevedere né tantomeno controllare, al netto delle frasi di circostanza e del dolore autentico, il terremoto ci ha mostrato e ci sta mostrando un’altra Italia, lontana le mille miglia dalla litigiosità isterica del teatrino politico-mediatico.
Ridotte al silenzio, o quasi, le polemiche compulsive che avvelenano ventiquattr’ore al giorno e sette giorni a settimana la nostra vita pubblica, è percepibile un senso di sollievo, persino di ritrovata serenità (se di serenità si può parlare al cospetto di una strage), come un ritrovarsi convalescenti, se non proprio guariti, dopo una lunga malattia che sembrava non dare scampo – la malattia della guerra civile fredda, dell’odio e del rancore come misura della partecipazione, della rabbia come unica forma di comunicazione.
L’Italia è migliore della sua rappresentazione: non soltanto di quella che ne fanno i giornali e le tv, ma anche, ciò che più conta, del racconto che noi stessi costruiamo senza neppure rendercene conto, registrando e amplificando ogni difetto e ogni malefatta e ogni guaio (e sono tanti) in una spirale depressiva, autolesionista e fintamente consolatoria.
Naturalmente non tutti si adeguano al nuovo clima: Matteo Salvini, la Casaleggio Associati srl e il Fatto, dopo un breve attimo di sbandamento, hanno ripreso a soffiare sul fuoco nichilista della disperazione. “Piano Case, mancano i soldi”, strilla in prima pagina il giornale di Travaglio: “Dopo giorni di voci su progetti miliardari del sisma, il premier deve ammettere che per trovarli dovrà violare le regole”. Che significa questo titolo? Che Renzi è il solito fanfarone parolaio, che promette ciò che non può mantenere, che è un imbroglione.
Ammettiamo che sia così. Ma i miliardi che servono per mettere in sicurezza il Paese, per salvare vite umane e per rilanciare lo sviluppo non sono un favore al governo: sono utili all’Italia – a quell’Italia che si è ritrovata tra le macerie di Amatrice, che vota Pd o M5s o non vota affatto, che non ne può più dell’isteria del circo politico-mediatico, che cerca sollievo e frescura dopo mesi e anni di litigiosità autoreferenziale e claustrofobica. Che il Fatto, Salvini e Grillo provino ad opporsi con tutte le loro energie a questa liberazione collettiva è comprensibile: senza disperazione e senza rabbia non avrebbero un lavoro.

lunedì 29 agosto 2016

“Cinquant’anni per la spina dorsale d’Italia”. Cosa ha detto Renzo Piano a Renzi


Stefano Cagelli
L'Unità 29 agosto 2016
L’incontro tra il senatore a vita e il premier per parlare della strategia alla base del grande piano di ricostruzione e prevenzione.
“L’emergenza attuale è il primo tassello strettamente inserito in un progetto di lungo termine. Parliamo di un intervento di 50 anni e su due generazioni. Parliamo di tutti gli Appennini, la spina dorsale dell’Italia, da nord a sud“. A parlare è Renzo Piano, senatore a vita, il più famoso architetto italiano, che ha incontrato Matteo Renzi a Genova per parlare di quella che deve essere la strategia, la visione alla base del grande piano integrato di ricostruzione e di prevenzione che il presidente del Consiglio ha già ribattezzato ‘Casa Italia’.
“Per i sopravvissuti che hanno perso le case – ha detto Piano in un’intervista concessa a Federico Rampini di Repubblica – bisogna operare con cantieri leggeri, che non allontanino le persone dai luoghi dove vivevano, che si potranno smontare e riciclare in seguito”. Ma questo è solo il primo passo di una strategia molto più ampia e complessa.
“Si deve agire con la massima urgenza per mettere a norma antisismica gli edifici pubblici. Ma la stragrande maggioranza sono privati. Qui si sa come intervenire: incentivi, sgravi fiscali, come già fatto nel campo energetico”. Accanto a questo, però, va fatto un lavoro di tipo culturale, legislativo: “Bisogna saper intervenire – dice Piano – nei passaggi generazionali, quando la casa dei nonni passa in eredità. Deve entrare in modo permanente nelle leggi del paese l’obbligo di rendere antisismici gli edifici in cui viviamo“.
E a chi parla di mancanza di risorse pubblica, Renzo Piano non le manda a dire: “E’ un luogo comune, le risorse ci sono eccome. E’ evidente che il Patto di Stabilità europeo consente flessibilità straordinarie per calamità atroci come questa, quando sono in ballo le vite umane, la sicurezza nazionale”. Inoltre, aggiunge, “non dimentichiamo che tutti i soldi spesi sono investimenti che generano ricchezza: oltre a salvare vite umane danno lavoro a tante imprese”.

venerdì 26 agosto 2016

La politica zitta, per un giorno


Mario Lavia
L'Unità 24 agosto 2016
Tante volte un terremoto ha portato con sé polemiche furibonde. Oggi no
In questo sfortunato Paese costellato da tragedie naturali mai la politica ha avuto il ritegno di stare zitta come oggi.
Tante volte invece un terremoto ha portato con sé polemiche furibonde. Portò cambi clamorosi di strategia (con il sisma dell’Irpinia del novembre 1980 quando il Pci archiviò definitivamente il compromesso storico). Portò a discutibili utilizzi della sciagura (il G8 convocato da Berlusconi all’Aquila). O vergognosi sciacallaggi travestiti da business (la Cricca, ancora L’Aquila). Questi i casi più clamorosi. Ma perfino il sisma che colpì la civilissima Emilia ebbe qualche strascico polemico, per non parlare dell’alluvione di Genova.
Oggi no. Il che non esclude che fra qualche giorno ci toccherà assistere alla solite baruffe, c’è sempre qualcosa che – ahimè – non va.
E però stavolta è successo qualcosa di nuovo. Il Paese si è unito nel giro di pochissimi minuti, in questa maledetta notte, ed è scattato come un sol uomo: cittadini semplici, istituzioni, governatori di Regione, gli splendidi sindaci dei centri colpiti, tutto si è mosso in modo univoco e con un solo obiettivo, salvare le persone, curarle, assisterle, rincuorarle.
La politica ha seguito questo moto degli italiani. Una volta tanto, si è sintonizzata.
Non vale la pena citare i soliti matti che sui social hanno sciacalleggiato, e nemmeno qualche parlamentare, di destra, grillino o di destra non importa qui specificare, che ha pensato bene di tirare l’acqua al suo mulino. Ma oggi non si discute. Si lavora.
È lo spirito di una Nazione che sa unirsi quando il cielo sta crollando. Non è retorica sperare che della lezione di questa notte la politica sappia fare tesoro anche per il futuro, quando le macerie non ingombreranno più le antiche stradine di quei magnifici borghi dove sono tutti gli italiani, con il pensiero e con il cuore.

domenica 21 agosto 2016

La svolta che serve alla storia europea


Umberto De Giovannangeli
L'Unità 21 agosto 2016
Lo “spirito di Ventotene” non è quello che ispira gli edificatori di muri, quelli che s’illudono che frontiere blindate possano garantire la sicurezza dell’Europa. L’europeismo è l’esatto contrario
Non è un caso se Matteo Renzi ha fatto rotta sull’isola simbolo del sogno europeo, invitando gli altri due leader europei che possono fare la differenza e cambiare davvero verso ad una Unione ormai da tempo decisamente smarrita. È tempo di invertire la rotta puntando sulla crescita, di gestire il fenomeno dei rifugiati, di darsi una politica estera e di difesa continentale. Cambiare verso per ridare un senso all’idea stessa di Europa e per non essere relegati ai margini dei grandi processi economici e geopolitici che investono il pianeta.
Ora servono i fatti, e non più le parole. Perché non saranno le parole a contrastare i trafficanti di esseri umani, a dare un futuro ai tanti “Omran” violentati dalle guerre. Non saranno le parole a costruire un rapporto fruttuoso tra l’Europa e l’Africa. E non è con le parole che si riuscirà a contrastare l’affermar si nel vecchio Continente di partiti e movimenti populisti.
È tempo di fatti. Ed è questo il vero banco di prova per i tre leader che domani si riuniranno a Ventotene. Italia, Germania e Francia devono recepire lo “spirito” che animò gli ispiratori di quel “Manifesto” che ancora oggi rappresenta la visione più alta, nobile, di una idea federalista dell’Europa, l’unica praticabile se si vuole evitare che il futuro sia segnato da altre “Brexit”. O si cambia verso o l’Europa è destinata ancor di più a sfiorire, anzitutto nei cuori dei suoi cittadini.
L’Europa dell’austerità, dell’iperrigorismo ha prodotto una devastazione sociale senza precedenti, alimentando sacche di marginalità, impoverendo le classi medie, frustrando le aspettative delle giovani generazioni. Una nuova Europa è quella che riscopre la forza di un “neo keinesismo”, che non penalizza ma incentiva gli investimenti pubblici in settori strategici quali l’istruzione, la ricerca, la green economy, le infrastrutture.
Un tema, questo, su cui l’Italia ha insistito negli ultimi due anni, facendone il tratto caratterizzante del suo agire a Bruxelles e nei vertici multi e bilaterali. La storia non si fa con i se e con i ma. Tuttavia, è lecito interrogarsi sul tempo perduto quando, con i governi Berlusconi e dei tecnici, l’Italia è stata se non silente di certo sulla difensiva rispetto alle scelte scellerate di politica economica e fiscale imposte da Bruxelles (e da Berlino).
E ai “soloni” nostrani che impartiscono ancora oggi lezioni di bon ton diplomatico e di realpolitik, andrebbe ricordato che alzare i toni, a supporto di progetti concreti come il “Migration Compact”, o sulla flessibilità, non solo rende più autorevole l’Italia ma rafforza il fronte anti-austerità. Nessuno può vincere da solo le sfide della globalizzazione, neanche il Paese economicamente più forte in Europa: la Germania. E nessuno può da solo contrastare il terrorismo jihadista, sconfiggere lo Stato islamico, dare stabilità al Vicino Oriente, neanche il Paese militarmente più attrezzato in Europa: la Francia.
Dotarsi di una politica estera comune e di un esercito europeo non è un esercizio per romantici idealisti ma una necessità del presente. L’Europa o è questo o non è. Lo “spirito di Ventotene” non è quello che ispira gli edificatori di muri, quelli che s’illudono che frontiere blindate possano garantire la sicurezza dell’Europa. L’europeismo è l’esatto contrario: è inclusione, nuovi diritti sociali e di cittadinanza. È l’Europa che guarda ai Paesi della sponda Sud del Mediterraneo in termini di opportunità di crescita comune e non come minaccia da neutralizzare. È l’Europa che avvia a quel “Piano Marshall per l’Africa” delineato dall’Italia ma che o diventa europeo oppure arricchirà il già ponderoso libro delle occasioni perdute. Lo deve a quell’umanità sofferente che fugge dall’inferno di guerre, pulizie etniche, povertà assoluta, disastri ambientali, e che bussa alle nostre porte per veder riconosciuto il diritto più importante: quello alla vita.
Le lacrime non servono. Occorre moltiplicare i corridoi umanitari, contrastare con maggiore efficacia gli schiavisti del Terzo millennio, praticare una solidarietà fattiva verso quei Paesi, come l’Italia, che in questi anni, grazie alla straordinaria abnegazione degli uomini della Guardia costiera e delle ong impegnate sulle rotte e i porti della disperazione, grazie alla quale sono state salvate decine di migliaia di vite umane. Per questo ci attendiamo molto dal vertice di Ventotene.

sabato 13 agosto 2016

Nichi al Floating Peers


Attilio Caso
13 agosto 2016

"Sebbene in ritardo colpevole, devo descrivere l'emozione straordinaria vissuta alla visita del Floating Peers. Come non vedere in questa installazione un'ideale prosecuzione delle sublimi intuizioni del maestro Michelangelo Antonioni, rivolto a descrivere l'incomunicabilità in un mondo già devastato dai primi segni del neoliberismo, che sarebbe sfociato nell'Italiamondo berlusconsista e velinista? I colori, i contrasti, i paesaggi liquidi e l'isola, a rappresentare la solitudine dell'uomo davanti alla feroce corsa del patto delle forze antiumaniste del più bieco neofordismo, hanno commosso il mio cuore.
Christo ha messo in scena un'utopia: l'afflato verso la costruzione di ponti che resistono alla volontà di isolare che si respira in questa nostra Italia neoalessiamarcuzzista, in cui trionfano i bignardismi e sono messi da parte eroi della resistenza come Luca Mercalli e Massimo Giannini, ultimi argini alla deriva autoritaria, che questa svolta renzista impone senza democrazia al nostro paese, che sarebbe ansioso invece di finanziare trasmissioni che non vede nessuno, per il gusto leggero di lasciarle cantare nel coro antirenzista a prescindere. 
Devo tuttavia esprimere tutto il mio disagio e il mio disappunto: Christo ha preferito realizzare questa opera in una provincia in cui Renzi ha preso il 70% al congresso, in quanto ivi gli ultimi baluardi della sinistra come i dipendenti pubblici e i pensionati non sono maggioranza come in Calabria o, soprattutto, nella mia Puglia. Come non immaginare il Floating Peers tra Peschici e le Tremiti, a voler celebrare una regione fondata sulla sinistra migliore, la pizzica e l'ulivo rigoglioso? Tutto avrebbe avuto un profumo di libertà e Mediterraneo, di auto in doppia fila e di pedoni che non attraversano mai sulle strisce. Soprattutto, non sarebbe stato  circondato da un continuo scorrere di auto verso il lavoro, ciclisti verso un traguardo e pazienti verso strutture ospedaliere funzionanti, tipici di una Brescia, di una Franciacorta e di un Sebino succubi della dittatura fiorentinista. 
Pensavo proprio a tutto questo oggi, davanti al mio mare Adriatico, sdraiato al sole a riposare dopo il mio quotidiano combattere contro le derive autoritarie insieme a guerrieri vivaci come Roberto, Pippo, Stefano, Paolo, Miguel e Gianni.
Stasera, aspettiamo Luca e Massimo, Norma, Lilli, Pippo, Stefano, Bianca e Steven Universe, prossimo al taglio dalle reti di cartoni per il suo opporsi ad un mondo in cui si discrimina la diversità in nome del boschismo. Mangeremo sgagliozze, spaghetti allo scoglio e zuppa di pesce, innaffiati con verdeca. Poi, Miguel ci descriverà gli emendamenti alla riforma della Pubblica Amministrazione, in particolare quello che resiste alla volontà, tutta boschista e cirinnaista, di vietare ai professori di prima fascia di dedicare le dottorande che collaborano con Luciano e Miguel a prepararci la cena e lavare i piatti volontariamente per arricchire il proprio curriculum scientifico."

giovedì 11 agosto 2016

IL REFERENDUM NON E' UN GIOCO

Sandro Albini
10 agosto 2016
Gli inglesi alla domanda se stare dentro o fuori l'Europa hanno risposto "fuori". Lo stesso giorno Cameron si è dimesso, ma il giorno dopo si sono dimessi anche i leader vincitori. I più candidi hanno motivato: si, ci siamo esposti a sostegno del "fuori" ma convinti che avrebbero vinto i "dentro": se avessimo immaginato questo esito avremmo votato anche noi per il "dentro". Crisi di governo risolta in 48 ore senza tante sceneggiate anche perché ora si tratta di gestire un difficile risultato. L'uscita richiederà tempi lunghi e trattative complesse, ma intanto il mondo reale già si appresta a presentare il conto: previsioni di minore crescita economica e incremento della disoccupazione, rigurgiti separazionisti della Scozia e Irlanda del Nord, e così via. Tradotto: gli inglesi hanno "giocato" al referendum senza rendersi esattamente conto della posta in gioco. Quel che potrebbe accadere con il nostro referendum sulla modifica costituzionale. Le ragioni del SI sono molto chiare: superamento del bicameralismo, correzione alle storture nei rapporti tra Stato e Regioni, semplificazione del quadro politico, abolizione del CNEL. In combinata con la nuova legge elettorale: garanzia che chi vince le elezioni poi ha l'onore e l'onere di governare senza omertose mediazioni. Le ragioni di chi sostiene il NO sono diverse: la Lega semplifica al massimo: bisogna votare no per mandare a casa Renzi: non una parola sul merito. Lo stesso si propongono i 5 stelle con l'aggiunta (udite, udite): la riforma viene fatta per garantire l'immunità parlamentare ai consiglieri regionali che entreranno in Senato! Una idiozia. Forza Italia quel testo lo ha votato ma dopo la elezione di Mattarella ha deciso che non va più bene, senza dire cosa vorrebbe di diverso. L'approccio della sinistra Dem è in puro stile ricattatorio: si modifichi la legge elettorale e noi votiamo Si, altrimenti sarà no. Siccome li si concentrano "i benaltristi" vengono avanzate anche critiche di merito: si poteva scrivere meglio, alcuni istituti non sono chiari, si coarta il sistema democratico perché viene meno la rappresentatività e una minoranza può conquistare il Governo del Paese. Poi "l'intellighenzia" fatta di accademici, giornalisti di grido e "i migliori" per i quali non è accettabile che un Renzi qualsiasi tocchi la "carta costituzionale più bella del mondo". Fa niente se rende difficile governare il Paese al tempo della globalizzazione, ma quella è roba per gli ottimati. Fa niente se altri accademici sostengono che magari non è il più bel testo possibile ma migliora l'attuale quadro istituzionale senza evocare i foschi ipotetici scenari paventati. Ecco quindi l'ampio schieramento del no, apparentemente articolato ma con un unico obiettivo: chissenefrega delle riforme invocate per 30 anni, bisogna mandare a casa Renzi, poi si vedrà. Chi sostiene che Renzi debba restare al governo anche se vince il No è un ipocrita. Forse molti di costoro in privato si augurano che Renzi vinca e a loro rimanga l'epica dei reduci caduti eroicamente sul campo per la difesa dei sacri valori della Patria. Il livore nei confronti di coloro che si battono per il SI è emerso (è una cosa piccola ma significativa) in una trasmissione su RAI 1 stamattina alle 8. La conduttrice aveva a confronto Rosato per il SI e un interlocutore per il No: poiché quest'ultimo disponeva di scarse argomentazioni per contrastare la chiara e convincente esposizione di Rosato, in tutti i modi ha cercato di sviare il discorso con domande capziose sul ritardo nella fissazione della data e sulla necessità di modificare la legge elettorale. Rintuzzata, con perdite, ha letto messaggi dai social, ovviamente tutti contrari a Rosato e, dopo aver annunciato una successiva puntata per dare più spazio al No, ha introdotto la telefonata di un 5 stelle (non ne valeva neanche 2) il quale ha ripetuto il solito mantra. A proposito di "più bello del mondo" lo si diceva anche del campionato di calcio italiano prima di scoprire che era un po' marcio, tanto da invocare "lo straniero" (leggi i cinesi) per tentare di dare un po' di smalto. Scenari possibili: se vince il SI si andrà al confronto elettorale nel 2017 e la sera delle elezioni sapremo quale classe dirigente avrà l'onere di governare secondo il programma elettorale premiato dai cittadini. Il sistema economico - finanziario si sentirà rassicurato dalla prospettiva di un governo stabile e sarà possibile guardare al futuro con più fiducia. Non è democrazia questa? Non è quello che accade nei comuni, con buona pace di tutti? Le sindache di Roma e di Torino hanno legittimamente vinto con il consenso di poco più di 1/3 dei cittadini aventi diritto al voto; lo steso accade per la elezione del Presidente degli Stati Uniti. Se vince il No lo scenario è un sostanziale ritorno al proporzionale. Un nuovo governo (ammesso che ci si riesca - vedi Belgio senza da un anno e Spagna da 6 mesi) si costituirà nel chiuso di qualche stanza dove ci sarà spazio per commerci nobili e meno, al termine dei quali nessuno dei cittadini che ha sostenuto un programma elettorale si riconoscerà in quello di governo (come è accaduto negli ultimi 20 anni). In un quadro di incertezza il sistema economico inevitabilmente rallenterà e bloccherà qualsiasi investimento vanificando gli sforzi compiuti in questi ultimi 2 anni. Questa è la democrazia che abbiamo conosciuto e l'assetto istituzionale attuale, da tutti ritenuto superato invocando il cambiamento. Ora basta un SI per renderlo operativo avviando una stagione nuova. Il ritorno al passato serve solo a coloro i quali, guardando il loro ombelico, credono di vedere il mondo.

venerdì 5 agosto 2016

...rieccoli!!!

Sandro Albini
Corsini e Muchetti per il no al referendum: naturale, visti i precedenti. Ritengo che il superamento del bicameralismo e la ridefinizione dei rapporti tra Stato e Regioni siano motivi più che sufficienti per votare un convinto SI ! Non è necessario essere Tiresia (indovino cieco dell'antica Grecia) per rendersi conto delle conseguenze di una vincita del NO: crisi di governo, scissione nel PD, ritorno alla agognata instabilità politica nella quale c'è posto per tutti: insoddisfatti cronici, gestori di utlità marginali, apertura di ampi spazi al malaffare e, sopratutto, un piccolo spazio vitale per chiunque, a qualunque prezzo. Mi auguro che gli italiani comprendano e diano una sonora lezione a maestri e maestrini, stellati o meno che siano.