mercoledì 18 giugno 2014

L’Iraq torna a spaventare, l’Occidente resta a guardare

Nicola Mirenzi 
Europa  

Battaglia alle porte di Baghdad: gli integralisti sunniti puntano a prendere la capitale. Stati Uniti e Iran non escludono l’opzione militare. Rimane il timore dell’implosione
Per qualche ora sono state nello loro mani. Alcune parti della città di Baquba, a soli 60 chilometri da Baghdad, sono state prese ieri mattina dai militanti dell’Isis, l’organizzazione per lo stato islamico in Iraq e Siria. La controffensiva delle forze governative – a guida sciita – è riuscita a ricacciare gli integralisti sunniti fuori dalla città: l’ultimo ostacolo rimasto in piedi a sbarrare la strada all’avanzata integralista verso Baghdad.
Quarantaquattro persone sono state uccise: detenuti sunniti giustiziati dalle forze governative prima di cedere la stazione di polizia sotto la pressione degli insorti, alle cui fila si sono aggiunti anche ex militari dell’esercito di Saddam Hussein e altri sunniti scontentati dalla politica del governo di al-Maliki, considerata ostile alla minoranza sunnita dell’Iraq.
Scene di guerra etnica si sono viste a Baghdad, dove quattro persone – ancora sunnite – sono state trovate morte in uno dei quartieri a maggioranza sciita. E ancora, in serata, un’autobomba è esplosa in un mercato, uccidendo dieci persone e ferendone venticinque. La più grande raffineria di petrolio del paese, quella di Baiji, è stata costretta a chiudere: una misura che non era stata presa nemmeno nelle ore più drammatiche dell’intervento americano del 2003.
Il governo iracheno ha accusato l’Arabia Saudita di promuovere «un genocidio» in Iraq sostenendo i combattenti sunniti. Ma anche l’esecutivo di al Maliki è stato fatto oggetto di dure critiche, per via della sua crescente concentrazione sull’aspetto militare dello scontro e l’assoluta mancanza di una iniziativa politica.
Sia gli Stati Uniti sia l’Iran, i principali sponsor del governo, spingono per cercare un dialogo con la componente sunnita e curda del paese, l’unica via – nelle loro analisi – per salvare l’Iraq dall’implosione. «Adesso è il tempo della guerra, non della riconciliazione» ha detto al-Khuzai, uomo vicinissimo al capo del governo iracheno. E per questo sia a Washington sia a Teheran nessuna opzione viene esclusa, compresa quella militare, mentre i contatti tra i due governi proseguono.
Per ora Obama ha disposto l’impiego di 287 uomini a Baghdad per proteggere l’ambasciata Usa nella capitale. Il segretario di stato americano John Kerry però ha detto che attacchi aerei «sono una delle possibilità» che la Casa Bianca sta vagliando. Il tutto mentre il primo ministro dello stato autonomo curdo dice quello che molti temono, e cioè che l’Iraq non sarà più in grado di rimanere unito dopo tutto quello che è successo. L’implosione è così più di un pericolo. E la domanda è: che fare?

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