lunedì 16 giugno 2014

Perché Grillo cerca Renzi nel suo momento migliore

Stefano Menichini 
Europa  

Il segretario del Pd esce dall'assemblea dell'Ergife padrone della situazione. Perfino il caso Mose alla fine lo ha aiutato. E dopo essersi negato quando il Pd stava in difficoltà, M5S si offre adesso che le parti sono rovesciate.
L’impatto più forte del risultato delle europee sul quadro politico arriva in differita, tre settimane dopo. Un po’ è successo perché si volevano aspettare i ballottaggi (e questi hanno rafforzato il messaggio degli elettori, checché ne abbiano scritto coloro che si sono fatti incantare da Livorno). Un po’ è intervenuto, a un certo punto, lo scandalo Mose con il coinvolgimento di personaggi di spicco dell’area democratica. Soprattutto però i partiti usciti sconfitti dalle urne europee dovevano registrare i propri notevoli problemi interni (per Forza Italia siamo appena agli inizi) ed erano curiosi di capire come Matteo Renzi avrebbe regolato i conti all’interno del Partito democratico.
Devono essere rimasti impressionati. Sia Salvini che Vendola, e più di tutti Grillo e Casaleggio.
Non so se avessero cullato la speranza che il successo elettorale di Renzi potesse essere rapidamente neutralizzato, dai guai giudiziari veneziani o dalla rivolta nel gruppo dei senatori della minoranza Pd. Sta di fatto che, nonostante la scomodità della trasferta asiatica, in poche ore il segretario-premier ha rovesciato entrambi gli eventi a proprio favore. Uscendo dall’assemblea nazionale dell’Ergife con un risultato tennistico. Gioco-partita-incontro.
L’opposizione interna è divisa in tre tronconi, uno dei quali ormai pienamente coinvolto nel governo del partito dopo l’elezione di Matteo Orfini alla presidenza del partito; il secondo un po’ allo sbando privo della guida dei suoi leader Bersani e Letta; il terzo travolto dal narcisismo di un personaggio al quale con grande imprudenza Civati ha ceduto il ruolo di uomo-immagine della sua corrente. Eppure bastava conoscere poco poco Renzi e Corradino Mineo, per capire che il primo sarebbe passato sopra al secondo come uno schiacciasassi: l’ex direttore Rai riassume in sé tutte le caratteristiche di quella sinistra presuntuosa e velleitaria che il segretario del Pd predilige come avversario. Anzi, persone come Mineo gli tornano utilissime, simboli da mostrare al corpo del partito per rendere chiara la differenza tra l’inaffidabilità e l’inconsistenza della vecchia sinistra, e la concretezza e risolutezza del “nuovo” Pd. Per dirla proprio tutta, ha fatto perfino un po’ impressione come la platea dell’Ergife abbia reagito alla demolizione di Mineo: l’insofferenza verso chi frappone ostacoli al segretario dice molto della voglia di girare pagina, l’importante è che il segretario faccia appello a questo sentimento con parsimonia.
Insomma, la conquista del Pd è ormai completa per Renzi. Per questo non gli costa rendere omaggio ai simboli del partito che fu, anzi farne uso politico in proprio: ieri si trattava dell’adesione spensierata al Pse (per diventarne il partito-guida nel giro di due mesi); oggi di rilanciare le Feste dell’Unità, un brand (come ha detto Renzi) che a livello popolare può funzionare e tranquillizzare ulteriormente chi ancora ne avesse bisogno.
Ma anche dalla vicenda Orsoni il segretario del Pd esce con un paio di mosse che lo piazzano, dalla posizione scomoda nella quale in teoria si sarebbe potuto trovare, nel ruolo ideale di chi non lascia angoli bui in casa propria, non teme ricatti («chi ha da denunciare qualcosa vada in procura») e rilancia in contemporanea sul tavolo dell’anticorruzione (i poteri a Cantone) e su quello della sfida alla corporazione togata. Il suggello della prova superata è nell’editoriale ammirato che gli regala Marco Travaglio: vedremo se il credito del Fatto quotidiano reggerà alla presentazione della riforma della giustizia di Andrea Orlando, fra pochi giorni.
Insomma è un Matteo Renzi in gran salute, quello che adesso riceve le profferte di dialogo da parte di tutti i suoi oppositori più accaniti (a parte il contatto in realtà mai interrotto con Nichi Vendola). Situazione che inevitabilmente costringerà anche Berlusconi a moderare i toni e a tornare più disponibile sulla riforma del senato.
In confronto alla professionalità politica esibita dal premier in questi ultimi giorni, colpisce (anche positivamente se vogliamo) l’ingenuità dell’iniziativa di Beppe Grillo sulla legge elettorale.
Dopo tutto quello che il M5S ha detto del Pd e di Renzi nell’ultimo anno, il riconoscimento che ora viene offerto loro ha un sapore di tatticismo troppo smaccato. Si intuisce che tra Grillo e Casaleggio sia maturato un giudizio molto preoccupato sul risultato delle europee e sulla prospettiva di lunghi mesi di opposizione senza costrutto. I due devono essersi convinti che, a forza di battere su questo tasto, l’argomento renziano dell’inutilità della presenza grillina in parlamento ha fatto breccia nell’elettorato. Infine, le tensioni interne al movimento non si sono certo fermate grazie a Livorno, anzi si acuiscono.
L’ingenuità della proposta di dialogo emerge proprio dalla tempistica. Dopo mesi, finalmente ci si dispone a un confronto col Pd quando quest’ultimo è nella migliore delle condizioni. Ciò che non si volle concedere a Bersani in un momento di difficoltà, si concede oggi a Renzi quando la difficoltà s’è spostata tutta sul lato grillino, e quando il Pd può giocare in parlamento sulle riforme con quasi tutti gli interlocutori presenti.
Sicché Grillo e i suoi luogotenenti possono sperare di alleggerire le critiche, prendere tempo e infine, più prima che poi, ripartire con la propaganda sull’inevitabile fallimento del dialogo. Poco più di questo, però. È gioco di rimessa. Chi decide quale forno aprire, per tirare fuori dal parlamento quale tipo di riforma e quale tipo di sistema elettorale, rimane in ogni caso Renzi: da questa situazione Cinquestelle può sperare di ricavare davvero scarse soddisfazioni. E non è escluso che alla fine le divisioni interne si accentuino, invece di sanarsi.
Il segretario del Pd e presidente del consiglio fino a oggi ha avuto fretta, e continuerà a teorizzare e a praticare la necessità di andare veloci. L’agenda del governo rimane fitta, è urgente alleggerirla chiudendo qualche dossier (mentre in realtà se ne aprono altri: la Rai per esempio). Adesso però il frenetico Renzi sa che, per la prima volta da quando è partita la sua rincorsa al vertice della politica nazionale, il tempo comincia a essere dalla sua parte. Come confermano le timide ma visibili tendenze positive dell’economia.
Per sobrietà e calcolo, quel 40,8 per cento stampato a caratteri cubitali sul fondale dell’assemblea nazionale democratica non è stato festeggiato. Ma i suoi effetti positivi si avvertono già.

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