sabato 28 giugno 2014

L’IMMUNITA’ AI NUOVI SENATORI: IMPUNITA’ O SALVAGUARDIA DELLA SOVRANITA’ DEL PARLAMENTO?


Mario Gorlani

C’è polemica anticasta e polemica anticasta, e quella che molti – il Fatto Quotidiano di Travaglio in prima fila – hanno sollevato contro l’emendamento che ha proposto di riconoscere anche ai componenti del “nuovo” Senato le stesse immunità che l’art. 68 Cost. riconosce ai deputati, appare francamente incomprensibile e fuorviante.
L’immunità parlamentare è un istituto antico e comune a tutti gli ordinamenti, il cui scopo era (ed è) quello di salvaguardare la sovranità delle Camere e la loro funzionalità e metterle al riparo da un uso strumentale di talune misure restrittive della giustizia penale da parte del potere giudiziario, che potrebbe alterare gli esiti di fondamentali deliberazioni. In Italia, come ben sappiamo, l’immunità è stata abusata oltre ogni dire da una classe politica che l’ha trasformata, spesso e volentieri, in un ingiustificato privilegio per sottrarsi alle sue gravi responsabilità penali.
Proprio per questo nel 1993 – in piena Tangentopoli - l’art. 68 Cost. è stato riformato, abolendo l’istituto dell’autorizzazione a procedere e lasciando in vita soltanto l’autorizzazione per l’arresto cautelare (salvo la flagranza di reato e l’esecuzione di una sentenza definitiva di condanna), per le perquisizioni e per le intercettazioni. Oggi i parlamentari, se commettono reati, possono essere indagati, rinviati a giudizio, processati, condannati e infine incarcerati, senza necessità di alcuna autorizzazione, come d’altronde è successo a Dell’Utri, a Cuffaro o allo stesso Berlusconi (anche se a lui il carcere è stato “generosamente” risparmiato), solo per citarne alcuni. L’unica cosa che, in sostanza, la magistratura non può fare senza autorizzazione della Camera di appartenenza, è arrestare un parlamentare, perquisirne l’abitazione o utilizzare sue telefonate eventualmente intercettate.
Davvero c’è qualcuno che, sull’onda di un diffuso e populista sentimento anticasta, avverte questa esigenza nei confronti dei futuri senatori? La misura della custodia cautelare non dovrebbe essere, in un ordinamento costituzionale che fa della garanzia della libertà personale uno dei suoi irrinunciabili capisaldi, una misura estrema, da applicare soltanto nel rigoroso rispetto dei presupposti di legge (pericolo di fuga, rischio di inquinamento delle prove, pericolo di reiterazione del reato)? Spesso, però, non è così: la custodia cautelare viene applicata – o chiesta, nei confronti dei parlamentari – per pochi giorni o settimane, senza alcuna utilità pratica che non sia quella di ottenere dall’indagato una confessione o di spettacolarizzare un’inchiesta che, diversamente, non assurge agli onori delle cronache e che poi si perde per anni nei corridoi dei Palazzi di Giustizia prima di approdare – sempre che ci approdi davvero – al dibattimento o anche solo all’udienza preliminare.
Se così è, anziché cavalcare il facile gioco di parole dell’immunità che diventa impunità, sognando arresti cautelari ad ogni notizia di reato, perché non attendersi dalle Procure, se hanno in mano elementi di responsabilità dei parlamentari, che ne chiedano senza ritardo il rinvio a giudizio, per puntare ad una vera sentenza di condanna, e non soltanto a qualche giorno in carcere e alla gogna mediatica? Tanto più che, con la sacrosanta legge Severino, soltanto con la condanna, e non certo con il solo arresto cautelare, il parlamentare viene estromesso dalla vita politica per 6 anni!
Il che non significa che le immunità come sono disciplinate oggi non possano essere oggetto di qualche revisione, ad esempio investendo la Corte costituzionale, come è stato proposto, del potere di concedere o negare l’autorizzazione, o escludendo dal loro perimetro perquisizioni e intercettazioni, che costituiscono spesso preziosi strumenti di indagine.
Significa soltanto continuare a credere nella centralità della funzione del Parlamento, anche del futuro Parlamento asimmetrico che le Camere stanno discutendo in questi giorni; significa credere che Camera e Senato, anche se con ruoli non più paritari, debbano vedersi riconoscere una analoga posizione costituzionale, anche in relazione allo status dei loro componenti; significa infine pensare che altre sono le “battaglie” da fare nel percorso riformatore intrapreso dal governo Renzi, come quella di dare al futuro Senato un ruolo più incisivo nell’attività legislativa che interessa le Regioni, o quella di scrivere una legge elettorale che non insegua il mito della governabilità a tutti i costi, ma trovi un giusto punto di equilibrio tra rappresentanza e semplificazione del quadro politico.

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