lunedì 23 giugno 2014

Partiti sfiduciati nell’era del malaffare e l’Italia si aggrappa ai leader ragazzini


La Repubblica - 23/6/14
ILVO DIAMANTI

Sondaggio Demos A un mese dal voto europeo, cresce ancora il consenso per Matteo Renzi. Ma il fattore età spinge verso l’alto anche Salvini (Lega) e Meloni È la stagione della democrazia iper-personale

Un mese dopo le elezioni europee, l’affermazione di Renzi e del Pd ha lasciato tracce molto profonde. Il Pd di Renzi. Il PdR: il Partito di Renzi. Un uomo solo al comando. Intorno al quale si intravede una democrazia senza partiti, che rivela una domanda crescente di leadership personale. Che, a centrodestra, appare ancora frustrata. Matteo Renzi. Secondo il sondaggio di Demos per Repubblica il 74% degli intervistati manifesta fiducia
“personale” nei suoi confronti.
MENTRE quasi il 70% valuta positivamente l’azione del suo governo. Tre italiani su quattro. Un livello di consenso larghissimo. Conquistato, in precedenza, solo da Monti, al momento dell’incarico. Non certo da Berlusconi, neppure nei giorni migliori. Oggi, tra le figure pubbliche, solo Papa Francesco è più popolare di lui. E, come il Papa, Renzi appare popolare presso tutti gli elettorati. Da Sinistra a Destra, passando per il Centro. Perfino fra gli elettori del M5S quasi 6 su 10 esprimono fiducia nei suoi riguardi. Dietro a Renzi c’è, ovviamente, il vuoto. Anche se, molto distanziati, emergono due leader relativamente giovani e nuovi. Matteo Salvini e Giorgia Meloni. Il segretario della Lega Nord ottiene, infatti, la fiducia dal 38% degli intervistati. Poco più della metà, rispetto a Renzi. Ma, comunque, oltre il doppio di due mesi fa. La presidente dei Fratelli d’Italia è valutata positivamente dal 36% degli intervistati: 10 punti più rispetto al sondaggio pre-elettorale. Si tratta di dati particolarmente significativi, soprattutto se messi a confronto con l’orientamento verso gli altri principali leader di partito. Alfano, Grillo, Berlusconi, Vendola: ottengono un grado di fiducia più ridotto. E, comunque, in calo sensibile o, al più, stabile, rispetto ai mesi precedenti. Questi atteggiamenti sono influenzati, in parte, dal risultato elettorale. Il Pd ha, infatti, sfiorato il 41% mentre la Lega ha superato il 6%. Molto lontana dal Pd, dunque. Ma, comunque, ben più del previsto. Per questo è l’unico partito che, secondo gli italiani, esca rafforzato dalle elezioni. Oltre al Pd, ovviamente. Che ha trionfato. Mentre il M5S, che pure ha superato il 21%, viene considerato “perdente” da oltre il 70% degli intervistati. Perché Beppe Grillo, per primo, aveva pronosticato il sorpasso. E, dun- que, la sconfitta del Pd e del suo leader. Così, un risultato importante è divenuto un flop. Agli occhi dei suoi stessi elettori. Ma il vero sconfitto, in questa fase, è Silvio Berlusconi, insieme a Forza Italia. Il cui risultato elettorale è apparso deludente anche rispetto alle più pessimistiche previsioni. E ciò spiega il sorprendente grado di fiducia verso Salvini ma anche verso la Meloni, il cui partito non ha raggiunto la soglia del 4%. La loro relativa popolarità, infatti, riflette la crisi di leadership del centrodestra. Gregario ma anche ostaggio di Berlusconi. Che non riesce più a fornire identità e unità alla coalizione. Ma, al tempo stesso, ne condiziona le scelte. Mentre appare, inevitabilmente, sempre più vecchio. Come immagine politica, prima che di età. D’altronde, non solo Renzi, per primo e sopra tutti, ma anche Salvini e Meloni si distinguono dagli altri perché sono più “giovani”, per generazione biografica e politica. Il fattore età, evidentemente, non ha mai contato tanto come ora.
Un mese dopo il voto europeo, il Pd appare, dunque, l’unico riferimento – e l’unico partito - della scena politica nazionale. Mentre FI e l’intero centrodestra sono alla deriva. In cerca di leadership e di identità (Il Ncd e Alfano: dove e con chi stanno?) E il M5S risulta ridimensionato, oltre la sua stessa “dimensione” reale, dalle attese generate dai leader, in campagna elettorale. Perfino la sinistra – nono- stante il buon risultato ottenuto da Tsipras – appare scossa da tensioni interne. Non a caso il consenso personale di Vendola, leader del principale partito di quest’area, risulta molto basso. Il problema, semmai, è che neppure il Pd sembra aver tratto slancio dal voto. Appare, infatti, diviso ma, soprattutto, gregario. All’ombra del leader. Perché gran parte di quel 40,8% è stato intercettato da Matteo Renzi. Non per caso, nei 214 Comuni maggiori al voto in cui era presente (Osservatorio Elettorale LaPolis-Università di Urbino), il Pd ha ottenuto il 44.5% dei voti validi alle europee, ma il 31.8% (dunque 13 punti in meno) alle comunali. Dove Renzi, ovviamente, non si poteva candidare. D’altra parte, il 30% degli italiani afferma di aver votato, alle europee, in base alla fiducia verso il leader del partito scelto. Prima e più che per ogni altra ragione: programmi, ideali, orientamento di partito. E la motivazione “personale” del voto risulta molto più forte fra gli elettori del Pd: 47%. Più che per il Pd, insomma, gli elettori hanno votato per il PdR. Il Partito di Renzi.
D’altronde, si assiste all’ulteriore degrado del rapporto fra i cittadini e i partiti. Deteriorato dalle recenti inchieste sulla corruzione politica a Milano e Venezia. Tanto che oltre metà degli italiani, secondo il sondaggio di Demos, ritiene che oggi la corruzione politica sia più diffusa che all’epoca di Tangentopoli. Eppure, questo clima non ha delegittimato il governo e tanto meno Renzi. Forse perché ormai ci siamo assuefatti. Ma anche perché, nel frattempo, si è fatta largo l’idea che la democrazia non abbia bisogno dei partiti. Lo pensa, infatti, oltre metà degli intervistati. Cinque anni fa questa prospettiva era condivisa da circa il 40% degli italiani. E ci sembrava tanto. Un segno di declino della democrazia rappresentativa. Che oggi appare palese. Come la frattura dei cittadini nei confronti delle istituzioni rappresentative, oltre che della politica. Per questo la fiducia verso Renzi – ma anche verso Salvini e Meloni – è significativa. Indica una domanda di cambiamento, che va “oltre” – e, semmai, “contro” - i partiti. E si orienta e concentra sulle “persone”. In particolare, sugli outsider. Si delinea, così, un’iper-democrazia iper-personale. Che, al fondo, solleva qualche inquietudine, sul futuro della democrazia rappresentativa. Ma anche sulla democrazia senza aggettivi.


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