venerdì 13 giugno 2014

Assemblea Pd, la prova di forza di Renzi

Rudy Francesco 
Calvo Europa  


Quattordici senatori si autosospendono dal gruppo al senato, ma restano isolati. Domani in assemblea il segretario farà pesare il 40,8% conquistato alle Europee per ricomporre il partito



Il 40,8% gigante che dominerà il palco dell’assemblea nazionale di domani la dice lunga sulle intenzioni di Matteo Renzi. Il premier-segretario nella sua relazione trasmetterà a tutto il Pd il senso di responsabilità che gli è stato trasmesso dal risultato delle elezioni europee, spingendo sull’acceleratore delle riforme, a partire da quelle istituzionali (ma anche pubblica amministrazione, lavoro, fisco, giustizia). Una relazione che renderà ancora più stretto lo spazio di manovra per i quattordici senatori dissidenti, che ieri si sono autosospesi dal gruppo dem a palazzo Madama per protestare contro la sostituzione di Corradino Mineo e Vannino Chiti in commissione affari costituzionali.
Sono proprio loro i primi a essere consapevoli della difficoltà cui vanno incontro. Subito dopo il loro annuncio, hanno letto una dopo l’altra le dichiarazioni non tanto dei renziani Maria Elena Boschi, Luca Lotti, Francesco Bonifazi, ampiamente prevedibili, quanto quelle del bersaniano Miguel Gotor, di Gianni Cuperlo, del “turco” Francesco Verducci, del lettiano Francesco Russo: tutti ad auspicare una ricomposizione ma, soprattutto, a stigmatizzare l’atteggiamento intransigente di una ristretta minoranza del gruppo, che «non può contribuire a determinare una maggioranza diversa rispetto a quella sostenuta» dal Pd (Gotor). Nessuno, insomma, a dare sponda alla loro battaglia. Ad eccezione di Pippo Civati e Stefano Fassina, rimasti ormai gli unici a tirarsi fuori dalla “pax renziana”.
«È stupefacente che Corradino Mineo parli di epurazione – ha commentato Renzi dal Kazakistan, prima di rientrare ieri sera in Italia – il partito non è un taxi che si prende per farsi eleggere. Non ho preso il 41 per cento per lasciare il futuro del paese a Mineo». Il premier, insomma, ha tutta l’intenzione di andare avanti, scommettendo sul fatto che l’area dei dissidenti (già fortemente ridimensionata, grazie al lavoro che è stato portato avanti da Zanda, Finocchiaro e Boschi nel gruppo del senato, nel corso di ben dieci assemblee) si limiterà alla fine a una battaglia di testimonianza, senza mettere a rischio i numeri della maggioranza. Il premier potrà mostrarsi così in una posizione di forza anche nei confronti di Silvio Berlusconi, con il quale potrebbe incontrarsi presto (ma sicuramente dopo l’assemblea nazionale) per rinsaldare il patto sulle riforme.
Anche da questo punto di vista, l’appuntamento di domani dovrà servire al premier per mostrare che il suo partito è compatto attorno a lui. «Sarà tutto un cinematografo», sintetizza ironicamente uno dei quattordici dissidenti. Anche per questo si è deciso di rinviare il confronto sulla costituzione della nuova segreteria, mentre la scelta del nuovo presidente sarà il primo fascicolo che il segretario si ritroverà sulla scrivania oggi, rientrato in Italia.
Il tentativo di affidare al confronto interno alla minoranza cuperliana l’indicazione del nome non è andato a buon fine: le divisioni interne a quell’area ormai sono talmente profonde da rendere difficile un dialogo tra i Giovani turchi, da una parte, e i bersanian-dalemiani di Area riformista, dall’altra. Per questo, l’ipotesi di affidare la presidenza dell’assemblea a Matteo Orfini, circolata negli ultimi giorni, potrà realizzarsi solo su indicazione diretta di Renzi. Le altre opzioni rimangono quella della lettiana Paola De Micheli (prima scelta dei bersaniani) e dei governatori Nicola Zingaretti o Sergio Chiamparino. Ma di fronte all’empasse, sono sempre di più i dem che auspicano una scelta più “alla Renzi”: una donna, possibilmente una amministratrice, che segni un distacco rispetto al gruppo dirigente precedente e renda ancora più evidente il rinnovamento interno.

Nessun commento:

Posta un commento