mercoledì 27 giugno 2018

memoria

     DON LORENZO MILANI muore il 26 giugno del 1967.
Ho imparato che il problema degli altri è uguale al mio. Sortirne tutti insieme è politica. Sortirne da soli è avarizia.
Da Lettera ad una professoressa, Don Lorenzo Milani

martedì 26 giugno 2018

Cohn-Bendit: «Macron ha sbagliato doveva aprire i porti in Corsica»


Il consigliere dell’Eliseo è sicuro che l’Europa si salverà e sceglie l’ironia per commentare la crisi: «Peccato che il match Italia-Francia non si giochi ai Mondiali»
di Stefano Montefiori, corrispondente da Parigi
Il vero europeista si vede nelle difficoltà. E Daniel Cohn-Bendit, ex presidente degli ecologisti a Strasburgo, oggi consigliere ufficioso molto vicino al presidente Macron ma capace di criticarlo quando è il caso, non vuole dichiararsi pessimista per il futuro dell’Unione. Neanche nei giorni dello scontro tra alleati.
Che cosa pensa oggi delle prospettive europee?
«La questione è semplice: se le istituzioni dell’Ue non riescono a trovare buone soluzioni per l’Europa di fronte alle sfide che ha davanti, cioè quelle di Trump, di Putin, della Cina, ognuno degli Stati membri sarà ancora di più in difficoltà. La mia fiducia deriva dal fatto che la ragione obbligherà tutti a tornare sui loro passi».
In Italia per esempio non si parla più di uscire dalla zona euro. Però il conflitto si è spostato sui migranti.
«Calma (dice in italiano, ndr). Salvini parla tanto, vuole espellere 500 mila migranti ma non ci riuscirà. Tra cinque o sei mesi gli italiani cominceranno a chiedergli conto delle sue promesse. E se gli europei propongono che i migranti siano accolti da funzionari dell’immigrazione di tutti i Paesi per poi essere redistribuiti altrove, cosa che rappresenterebbe il superamento di Dublino, Salvini finirà con il trovare la proposta molto ragionevole».
Per il momento il ministro italiano guarda piuttosto all’Ungheria di Orbán e al gruppo di Visegrad, cioè ai Paesi che vogliono meno Europa e rifiutano la ripartizione dei migranti.
«Una posizione paradossale. Salvini dimentica che l’Ungheria e la Polonia possono pure chiudere le loro frontiere terrestri, ma l’Italia non può chiudere le sue migliaia di chilometri di coste. Una soluzione europea è nell’interesse prima di tutto dell’Italia».
Macron per primo riconosce che finora l’Italia è stata lasciata sola dai partner europei.
«Quello è stato un errore enorme. Gli europei ripetevano “Dublino, Dublino”, ma i rifugiati arrivano a Lampedusa, non a Dublino. Adesso bisogna fare in modo che, anche se i rifugiati sbarcano in Italia, non debbano restare nel vostro Paese. Ma allora Salvini non può che fare appello alla solidarietà europea, non certo a Orbán e al polacco Kaczynski che sono su posizioni opposte».
Cosa prevede per il Consiglio europeo di giovedì?
«Verrà ottenuto qualche risultato, ma insufficiente. Bisognerà attendere per arrivare a un buon compromesso. Se gli europei sono intelligenti finiranno col proporre qualcosa che rappresenti un vero aiuto per l’Italia».
Che cosa pensa del duello tra Francia e Italia?
«È davvero un peccato che questo match non si giochi al Mondiale di calcio in Russia, sarebbe più appropriato. Allo stesso tempo non bisogna prendere ogni frase alla lettera… Ma quando Macron evoca la lebbra a proposito del pericolo nazionalista non ha torto. Il calciatore svedese Jimmy Durmaz, di origine siriana, ha sbagliato durante la partita contro la Germania: in poche ore lo hanno ricoperto di insulti nei social media, arrivando a minacciarlo di morte. Questa è lebbra. Così come è lebbra il razzismo contro Balotelli».
Visto che lo scontro Francia-Italia è nato a proposito della Aquarius, Macron non avrebbe fatto meglio ad accoglierla?
«Certo, qui Macron ha sbagliato. L’Aquarius avrebbe potuto attraccare a Bastia, in Corsica, e lì si sarebbe potuto fare quel che fanno gli spagnoli a Valencia, cioè valutare i diritti degli uni e degli altri a ottenere l’asilo. Se Macron avesse accolto l’Aquarius in Francia il suo messaggio sarebbe stato più forte».
Macron ripete che in Europa oggi non c’è una crisi migratoria, ma politica.
«E ha ragione».
Ma il suo ministro dell’Interno parla di «sommersione migratoria».
«È verissimo. Il problema di Macron è che lascia campo libero a Gérard Collomb, che usa il linguaggio di Salvini».

lunedì 11 giugno 2018

tanto ossigeno

Brescia tiene. In un panorama politico che vede il centrodestra avanzare nel Nord-Est, il sindaco uscente del centrosinistra Emilio Del Bono vince e viene riconfermato al primo turno, senza bisogno di ballottaggi. Il suo segreto? "Brescia ci ha premiato per lo stile - ha detto ai microfoni di Rainews - perchè non siamo arroganti".

sabato 2 giugno 2018

ALLACCIATE LE CINTURE

Marcella Bordigoni su Fb
2 giugno 2018
Cosi scrive Mario Calabresi: "Non possiamo considerare quello di oggi come un giorno normale. Lo scambio della campanella tra Gentiloni e Conte non è stato ordinario.
Non può essere un giorno normale quello in cui il più reazionario e incendiario dei nostri politici entra al Viminale"
Io trovo un po' inquietante che tutti i giornalisti di Repubblica si stiano schierando ora contro questo governo. Esclusi quelli del Falso Quotidiano che continuano con una faccia di bronzo sconosciuta nell'intero universo, a capovolgere la realtà, sono parecchi i giornalisti che hanno trascorso gli ultimi cinque anni a distruggere i governi del PD con una violenza e una decisione per cui molti di noi si sono chiesti le motivazioni.
E che ora improvvisamente illuminati, scrivano fiumi di parole sui pericoli del peggior governo di destra, lascia un po' interdetti. Direi a Mario Calabresi che le cinture di sicurezza si allacciano PRIMA, non quando l'aereo sta precipitando...ormai non servono più a niente

venerdì 1 giugno 2018

proprio così


allacciamoci le cinture


Stefano Ceccanti
E’ ragionevole pensare che i cosiddetti mercati saranno oggi rassicurati perché dopo tanta incertezza oggi c’è comunque un Governo, perché sul momento il Presidente Mattarella ha fatto valere dei limiti costituzionali (non strettamente politici) e perché oggi, almeno sul momento, la Spagna sembra preoccupare un po’ di più. Non perché lì siano possibili maggioranze antieuropee, ma perché comunque l’aggiramento della logica della mozione costruttiva è un problema. Sanchez arriverà con tutta probabilità al Governo, ma non avrà una vera maggioranza alternativa, solo una somma di rifiuti del Governo delegittimato di Rajoy. In altri termini la mozione sarà solo apparentemente costruttiva, in realtà sarà solo negativa ed il nuovo equilibrio sarà precario.
Eppure qualche problema sarà visibile sin da subito.
Oggi i ministri pronunceranno una solenne formula di giuramento: «Giuro di essere fedele alla Repubblica, di osservarne lealmente la Costituzione e le leggi e di esercitare le mie funzioni nell’interesse esclusivo della Nazione.»;
Eppure quelli che appartengono al Movimento 5 Stelle non sembrano al momento voler rinunziare al contributo obbligatorio alla piattaforma Rousseau che comprende il fondo per gli oneri necessari per la tutela legale degli aderenti al Movimento 5 Stelle. Come si concilia l’interesse esclusivo della Nazione su cui giurano con vincoli relativi a società private e in vicende giudiziarie a favore di parti che potrebbero anche danneggiare gli interessi pubblici?
Quanto poi al Ministro dell’Interno Salvini, come si concilia anche per lui l’interesse esclusivo della Nazione col patto da lui sottoscritto il 6 marzo 2017 col signor Zheleznyak a nome del partito di governo “Russia Unita” ai sensi del quale, tra l’altro, ci si impegna allo “cambio di esperienze in attività legislative nonché alla cooperazione nei settori dell’economia, del commercio e degli investimenti tra i due Paesi? Sempre ammesso che non ne esistano altri a noi ignoti?
E che dire poi dell’abbinamento del Ministero dei Rapporti col Parlamento con la sedicente democrazia diretta? Si vuole dirigere il Parlamento e il Governo dalla piattaforma Rousseau?
Allacciamoci le cinture e prepariamoci a un’opposizione che, proprio perché responsabile, dovrà essere intransigente. La responsabilità è verso il Paese che non merita derive sovraniste e giacobine.

I giornali di oggi / L’ora della destra


Giovanni Belfiori
Democratica 1 giugno 2018
Commenti e articoli sui protagonisti della crisi: Conte premier a sua insaputa, Cottarelli autentico civil servant e Mattarella punto fermo per lo Stato
Una sola riga, a piena pagina: “I populisti al governo”: così la copertina di Repubblica immortala – con tanto di trittico dove sono raffigurati Di Maio, Conte e Salvini – il nuovo governo che, come si legge nel richiamo dell’articolo a pagina 36 di Claudio Tito, proprio nuovo non è: “Il governo gialloverde nasce vecchio. Logorato da un balletto inverecondo e con novità sbiadite. I dicasteri chiave sono in mano a uomini del passato. Da Moavero, ex ministro di Monti, a Tria, che ha scritto il programma di Forza Italia di qualche anno fa”. E ancora: “Su questa compagine, dunque, gravano già diversi macigni. Compresa la natura dichiaratamente di destra. È il risultato del gioco di veti incrociati, ripicche, bassa lotta per il potere e per le poltrone durato tre mesi. Solo domenica scorsa Giuseppe Conte ha rinunciato al suo primo incarico. Cosa è stato fatto che non si potesse fare cinque giorni fa? Paolo Savona è stato dirottato dal ministero dell’Economia agli Affari europei. Il Quirinale già si era dichiarato disponibile a nominarlo con una delega diversa. Perché si è dovuto aspettare? Perché si sono dovute esporre le istituzioni, il Paese e i nostri conti pubblici a una continua fibrillazione? L’M5S ha addirittura minacciato l’impeachment nei confronti di Mattarella. Lo stesso Savona, probabilmente dimentico delle responsabilità che gli derivano dai tanti incarichi ricoperti in passato, ha ingaggiato uno sgangherato duello verbale con il Colle. Un inutile psicodramma. La motivazione di tutto è purtroppo semplice: la paura di perdere l’occasione e il potere”.

Alla fine, Di Maio e Salvini

Come si è risolta questa lunga, caotica crisi, lo raccontano sulla Stampa, a pagina 4, Amedeo La Mattina e Ilario Lombardo: “La mossa di Luigi Di Maio ha riportato improvvisamente le lancette indietro, al governo politico giallo-verde presieduto da Giuseppe Conte. Come se nulla fosse successo, l’anonimo professore si è ripresentato alle telecamere quattro giorni dopo, semplicemente con una cravatta diversa. Dopo i fulmini di rabbia, la richiesta di impeachment, il grido «al voto al voto», mercoledì il leader M5S Luigi Di Maio a sorpresa ha proposto di spostare Paolo Savona a un altro dicastero per superare l’impedimento posto dal Capo dello Stato”.
Una partita difficile, quella che ieri si è giocata tra Di Maio e Salvini, una partita, scrive Marcello Sorgi sulla Stampa, “Che ha avuto in Salvini, entrato in campo come junior partner di un Movimento 5 Stelle premiato nelle urne con quasi il doppio dei voti raccolti dalla Lega, un indiscusso vincitore. Con i suoi stop and go, con la disinvoltura con cui s’è mosso più nelle piazze dei comizi e in quelle 2.0 della rete, che non nei corridoi parlamentari e nei saloni del Quirinale, il leader del Carroccio ha trovato il modo di sganciarsi dal centrodestra restandone tuttavia leader, e a sommare utilmente la sua mezza vittoria con l’altra mezza di Di Maio. Il quale ha, sì, portato al governo il suo Movimento, ma ha dovuto rinunciare alla premiership per cui si era candidato, aprendo la strada a un tecnico, il professor Conte, come quelli a cui aveva giurato che mai e poi mai avrebbe ceduto la poltrona di Palazzo Chigi”.

5 Stelle, da “setta” a movimento di massa

Rinunce, contraddizioni, passi falsi, errori: alla fine, però, i grillini sono al governo, ed è interessante l’analisi che ne fa Alessandro Campi sul Messaggero: “Comunque la si pensi è un traguardo politico straordinario per un partito nato da un azzardo visionario (la democrazia elettronica, da costruire sulle rovine dei partiti e delle tradizionali forme di rappresentanza politica, vagheggiata da Gianroberto Casaleggio) e dal carisma di un comico dai toni apocalittici (divenuto il catalizzatore prima nelle piazze e poi nelle urne di milioni italiani uniti dalla rabbia sociale e da un irrefrenabile desiderio di novità a qualunque costo). Sarà, quello dei grillini a Palazzo Chigi e nei ministeri, un esperimento da seguire con attenzione, come anche saranno da valutare bene certe loro repentine trasformazioni e certe loro perduranti contraddizioni. Un gruppo bollato come “setta esoterica” divenuto un partito di massa. I nemici giurati dell’establishment che si apprestano a gestire il potere indossando la grisaglia e avendo imbarcato pezzi importanti di quella nomenclatura che tanto disprezzavano a parole. I fautori della democrazia diretta che guidano il Parlamento. I fanatici della trasparenza che stentano a praticarla al loro interno. Il rispetto, visti i consensi che hanno ottenuto nel Paese, è doveroso. Il sospetto intellettuale, soprattutto ora che sono forza di governo, altrettanto lecito”.

Lotta di classe in casa Grillo

Sullo stesso tema, l’analisi di Alessandro Trocino sul Corriere della Sera, in cui emerge un Movimento diviso: “C’è mancato poco che la truppa si ammutinasse, ma intanto la nave è arrivata in porto e ora il comandante Luigi Di Maio può tirare un sospiro di sollievo. Non più «Calimero», come si è autodefinito solo mercoledì sera ma condottiero insieme al «Capitano» leghista. Ora comincia una nuova epoca e una nuova partita, perché il Movimento 5 Stelle dovrà cambiare pelle nuovamente. Sarà partito di governo, non più di lotta, con una parte della sua classe dirigente direttamente coinvolta nell’esecutivo. (…) Di Maio resterà il capo politico del Movimento, ma molto dovrà cambiare. (…) perché la truppa scalpita. Ne è stato un esempio l’assemblea degli autoconvocati al Senato, una vera adunata sediziosa con tanto di grida e pianti. Ma anche la seduta congiunta di mercoledì sera. (…) In questi giorni i malumori dei nuovi arrivati, ma anche di molti «senatori», sono stati consistenti. Perché qualcosa si è rotto nella filiera della comunicazione interna dei 5 Stelle. Pochissimi erano i dirigenti inseriti nelle trattative e a conoscenza dello stato delle cose. E nessuna comunicazione ufficiale arrivava via chat o in via informale ai parlamentari. Una situazione di incertezza decisamente sgradevole, come hanno detto in molti all’assemblea: «Non siamo yes man, dobbiamo contare anche noi. E ci dovete raccontare cosa succede»”.

Conte, premier “a sua insaputa”

Su Conte che entra a Palazzo Chigi e Cottarelli – a onor del vero mai veramente entrato- che esce, i giudizi, le analisi, i confronti si sprecano. Su Conte, impietoso Il Giornale con Giuseppe Marino che, nell’articolo intitolato “Il professore a chiamata non tocca palla sui ministeri”, scrive: “«Avrò una squadra di ministri giovani e dinamici, appena mi mandano la lista vi dico i nomi». La battuta impietosa che girava nei giorni del primo incarico a Giuseppe Conte ieri si è improvvisamente tramutata in una impietosa realtà. Il prof avv trattato come una colf a ore, un premier interinale convocato, licenziato su due piedi e poi riconvocato in fretta e furia appena conclusa la trattativa più pazza del mondo, composizione della lista dei ministri inclusa. (…) Il professore (…) si trova a capo di un governo cucito a sua insaputa, programma incluso. Ha sempre detto di aver partecipato alla stesura del famoso «contratto di governo» ed è pur possibile che nel documento sia transitato qualche suo contributo, ma al tavolo delle trattative tra Lega e M5s non c’era. E il suo nome era spuntato solo nel finale, per sedare la lite sulle poltrone”.

Cottarelli, civil servant

“Cottarelli si congeda tra gli applausi” è il titolo del Giornale a pagina 5, e “La lezione di stile dell’uomo di Stato” quello della Stampa, che a pagina 11, a proposito del ruolo di Carlo Cottarelli, incaricato da Mattarella e responsabilmente fattosi da parte di fronte al governo politico di Lega e 5 Stelle, scrive: “Complimenti bipartisan. Alla fine, non è solo il presidente della Repubblica, subito dopo averlo congedato, a fargli arrivare tramite il suo portavoce un sentito ringraziamento «per il senso delle istituzioni, la serietà e la costante attenzione all’interesse nazionale». Dal premier uscente Paolo Gentiloni («Una lezione di stile istituzionale») alla forzista Stefania Prestigiacomo («Cottarelli ne esce da gran signore») all’ideatore dell’Ulivo Arturo Parisi («Cottarelli è l’unico vincitore, finché ci sono persone come lui c’è speranza»), è un coro bipartisan di chi gli riconosce stile e senso delle istituzioni”.
Al coro di lodi, si aggiunge il commento di Mario Ajello sul Messaggero: “Ha parlato con i presidenti delle Camere, ha mediato con i leader, ha stabilito con il Colle una interlocuzione fattiva, senza mai dire «io», senza minimamente puntare alla poltrona. E così Cottarelli ha aiutato la conclusione razionale di un percorso irrazionale. Ha rappresentato un segno cartesiano nel peggior bizantinismo”.

Mattarella, “capacità di ascolto e tenuta”

Sul ruolo di Mattarella, Massimo Franco così si esprime sul Corriere della Sera: “alla fine, un capo dello Stato della «Prima Repubblica» come Sergio Mattarella, minacciato in modo greve e gratuito, ha dimostrato capacità di ascolto e tenuta: al punto che i suoi detrattori lo hanno accusato di cedevolezza ai «quasi vincitori». Non poteva fare altro, in realtà. Il presidente della Repubblica ha capito prima e più di altri, forse più degli stessi Di Maio, capo del M5S, e del leghista Salvini, che andava aperta un’altra fase. Non, però, col trauma di elezioni anticipate, osservate con golosità da un Salvini in ascesa. E nemmeno con soluzioni ministeriali provocatorie che potevano mette- re a rischio l’appartenenza dell’Italia all’euro e alla Ue. Su questi punti, Mattarella è stato fermo, fino a sfiorare un altro scioglimento. Alla fine, la rabbia miope dei suoi interlocutori si è dovuta piegare alla realtà: seppure in modo ambiguo”.

Pd in piazza: “Il governo ha un programma pericoloso per il Paese”

Con Forza Italia indebolita all’opposizione (“Berlusconi prepara l’opposizione. «Riporterò Forza Italia al 20%»” titola a pagina 13 il Corriere della Sera) e Fratelli d’Italia che prova ad entrare nel governo senza riuscirci (Il veto M5S blocca Meloni. Salvini: “Giorgia, mi dispiace”, è il titolo di pagina 10 della Stampa), il governo giallo-verde ha nel Pd l’unico vero oppositore.
Confermata la manifestazione dei dem oggi a Roma. Per Martina, scrive Maria Teresa Meli sul Corriere della Sera, “la manifestazione può rappresentare la risposta del Pd alla nascita del nuovo governo, che «ha un programma pericoloso per il Paese. Perciò lavoreremo da subito dall’opposizione per costruire l’alternativa forte e popolare di cui il Paese ha bisogno». Per questa ragione ha voluto all’iniziativa, che non a caso si svolgerà in uno dei luoghi storici dell’Ulivo, piazza santi Apostoli, tutti i big del Pd. A cominciare da Veltroni. E ci saranno anche Calenda, Franceschini e Orlando. Il sogno di Martina è riuscire a ottenere anche la partecipazione di Gentiloni, il quale non ha ancora deciso definitivamente se andare o meno. L’idea è quella di presentare un partito compatto nella battaglia contro i giallo-verdi”.

Un grazie a Mattarella


Giorgio Tonini
1 giugno 2018
Mattarella è uscito sorridente a salutare e ringraziare i giornalisti. Immagino che il presidente andrà a dormire sereno questa sera. Ha fatto un capolavoro. Con la pazienza e la lucidità di un artificiere, ha disinnescato una bomba che avrebbe potuto risultare disastrosa per l’Italia e per l’Europa. Lo ha fatto tenendo fermi tutti e due i valori che erano in gioco: da un lato il voto del 4 marzo, che chiedeva una forte discontinuità politica e di governo, dall’altro la salvaguardia di beni comuni primari del popolo italiano, come l’equilibrio della finanza pubblica e la sicurezza dei risparmi e degli investimenti, delle famiglie e delle imprese.
Mattarella è riuscito nella missione, che tanti definivano impossibile, di convincere Di Maio e perfino Salvini ad accettare la sfida di rendere il loro ambizioso, per non dire temerario, programma economico e sociale, compatibile con la tenuta dei conti pubblici. Per ottenere questo risultato, Mattarella ha dovuto, in un passaggio drammatico, piantare un paletto invalicabile: la quadratura del cerchio, tra programma e conti pubblici, non può essere ricercata mettendo in discussione l’appartenenza dell’Italia alla moneta unica e all’Unione europea. Non solo e non tanto per ragioni storico-politiche, che pure hanno il loro peso nella identità di una nazione, identità unitaria che il presidente è chiamato a promuovere e difendere da chiunque, anche da una maggioranza parlamentare, perché si tratta di beni indisponibili, quanto per il pericolo, grave e imminente, che avrebbero fatto correre ai redditi e ai patrimoni degli italiani, come le tensioni sullo spread dei titoli pubblici e sulla borsa si sono incaricati di dimostrare nei giorni scorsi. La quadratura del cerchio andrà dunque ricercata, da parte del nuovo governo, in una gestione oculata dei conti (e la scelta del ministro dell’Economia, insieme alle dichiarazioni del presidente Conte, dovrebbe dare garanzie in proposito), e certo anche in una revisione degli indirizzi di politica economica prevalenti a livello europeo, anche grazie ad una riforma della governance dell’Eurozona.
La scelta di un europeista convinto, esperto e riformista, come Moavero Milanesi, per la guida della nostra politica estera, lascia pensare e sperare in un rapido rientro in scena dell’Italia, a fianco della Francia di Macron, in una interlocuzione costruttiva ma serrata con la Germania della signora Merkel. Francia e Italia insieme possono trovare la forza di bilanciare la Germania e aprire una fase nuova per l’Europa.
Non è detto che lo schema Mattarella funzioni. Può succedere che una o entrambe le forze politiche che compongono la maggioranza di governo senta presto il richiamo della foresta e cerchi un pretesto per far saltare il banco. Ma è comunque un fatto positivo che l’energia sprigionata dal risultato elettorale, che avrebbe potuto abbattersi sul paese in modo cieco e distruttivo, sia stata canalizzata verso obiettivi, almeno in parte e nel loro complesso, costruttivi per il paese.
Il Pd, a mio avviso commettendo un errore, ha preferito chiamarsi fuori dal confronto e lasciare al solo Mattarella il compito di disinnescare la bomba. Mi auguro che abbia ora la lungimiranza di condurre una battaglia di opposizione costruttiva, propositiva e selettiva. Che assuma come suo, senza regalarlo per intero a Lega e Cinquestelle, il messaggio di stanchezza, fatica, rabbia, frustrazione, emerso dal voto e aiuti e incalzi il governo a mediarlo con la fragilità dei nostri conti e con la ricerca di nuovi equilibri in Europa. È solo da una posizione come questa, certo non da un revanscismo fazioso e schematico, che i democratici potranno tornare ad essere ancora utili al paese.