venerdì 27 giugno 2014

La rivoluzione di Francesco: 
ascoltare il suo Popolo.


Corriere della Sera 27/06/14
Marco Garzonio


Quando, dopo la sua elezione, papa Francesco indisse due Sinodi sulla famiglia, uno per quest’anno e l’altro in programma per il prossimo, si son capite almeno tre cose.
La prima: che per il Pontefice la sfera delle relazioni affettive è centrale: se davvero la Chiesa intende recuperare un dialogo con il mondo non in astratto deve calarsi nei vissuti oltreché nei comportamenti delle persone. La seconda: che altrettanto fondamentale per il pontefice è ascoltare che cosa dice la gente, a cominciare dalle comunità cristiane sparse per il mondo, in particolare dalle «periferie» da cui lui stesso proviene oltreché dai Paesi più avanzati e ormai secolarizzati, dai sacerdoti in prima linea con le domande pressanti dei costumi che cambiano, delle povertà che condizionano anche le scelte etiche, delle trasformazioni profonde nei riferimenti culturali e ideali. La terza: che Francesco alla fine è uno che parla liberamente e decide, ma prima vuole documentarsi, conoscere, condividere con vescovi e cardinali, allargando il governo della Chiesa, come ha fatto con la Commissione degli otto cardinali che lo affiancano.

Il questionario inviato a 114 Conferenze Episcopali mondiali per conoscere situazioni e valutazioni in vista del Sinodo e l’Instrumentum laboris , il documento preparatorio dell’Assemblea rappresentano il riscontro esterno di quanto gli orientamenti pastorali del Papa si apprestino a fare breccia nell’opinione pubblica della Chiesa e in quella laica. Dai testi si nota la preoccupazione di usare misericordia, di vedere caso per caso, di portare allo scoperto argomenti non più tabù (contraccezione, comunione ai divorziati, battesimi ai figli di persone non sposate, unioni di fatto etero e omosessuali). E si nota un atteggiamento fondato su proposte, non su imposizione, sull’accompagnamento, sull’invito, sulla sollecitazione non su condanne ed espulsioni.

Il rischio di questa fase è che il clamore dei media e le attese diffuse possano creare aspettative eccessive e da mettere in difficoltà il Magistero e lo stesso Papa, finendo per dare fiato alle resistenze interne di molta conservazione sinora sopita, come s’è visto nei mesi scorsi quando il cardinale Kasper, molto vicino al Pontefice e da questi assai apprezzato ha espresso apertura a proposito della comunione ai divorziati.

Se si vuol intendere che cosa sta accadendo attorno a San Pietro, occorre prudenza e visione d’assieme. Dagli atteggiamenti che mostra e dagli interventi che svolge emerge che Francesco sta cambiando la Chiesa e i rapporti di questa con la società, la cultura, la politica non perché si distacca visibilmente da taluni contenuti cari alla dottrina. La «rivoluzione» di Francesco a proposito di morale sessuale, famiglia, matrimonio è soprattutto di approccio, stile, metodo. È in termini di attenzione, sensibilità, vicinanza senza pregiudizi che dal Vaticano spira aria fresca e nuova. Chi, ad esempio, cerca di strappare dalle sue parole, dai suoi collaboratori, dai testi concessioni e riconoscimenti a situazioni quali le coppie di fatto, sia etero che omosessuali, compie autentiche forzature; applica criteri politico-ideologici o, addirittura, proietta sul Pontefice le proprie aspettative. Perché ad esempio un conto è prendere atto della realtà e di tutelare dei diritti, un altro è riconoscere le unioni e dare ad esse valore di matrimonio. Certo, non si era mai sentito un papa dire: «Chi sono io per giudicare un gay»; o raccontare di quando, arcivescovo di Buenos Aires, si sentì confidare da una bimba che la fidanzata della mamma non le voleva bene; oppure, ancora, come ha fatto nei mesi scorsi nell’intervista al Corriere , liquidare affermazioni tipo «valori non negoziabili» che per anni hanno caratterizzato l’azione pastorale della Cei e connotato una vicinanza della gerarchia con posizioni di centro destra, perché sostenne «i valori o sono valori o non lo sono». È una Chiesa che non ha paura della realtà e della vita, che dà nome alle cose, che si interroga, che se necessario fa autocritica. Ma, almeno sino ad oggi, non sembra che ci si trovi di fronte a una Chiesa disposta, in termini di principio, ad abdicare su molti dei fronti in cui sono coinvolti i sentimenti, l’amore, gli affetti, le scelte di vita.




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