venerdì 20 giugno 2014

La riforma volutamente incompleta

Stefano Menichini 
Europa  

Pare ormai certo il primo voto che abolisce il senato elettivo. È un grande successo di Renzi, oltre le aspettative, ma è una riforma incompleta: non si discute di presidenzialismo, sempre per la paura dell'uomo forte.
Fare i pignoli sul rispetto del cronoprogramma è sempre possibile ma alzi la mano chi, escluso Matteo Renzi, pensava che la fine del senato elettivo concordata nel patto del Nazareno sarebbe stata davvero votata (e proprio dal senato) prima dell’estate. Se questo evento si realizzerà, come pare ormai certo, al presidente del consiglio toccherà riconoscere anche un discreta capacità di visione sulla possibilità di raggiungere obiettivi improbabili.
Questo pur sapendo che siamo solo alla vigilia del primo di quattro passaggi parlamentari, perché la prima approvazione è già un dato di fatto, qualcosa di irreversibile. Senza contare il contorno: le scissioni in corso potrebbero regalare a Renzi una maggioranza a palazzo Madama più ampia di quella risicatissima ereditata da Letta e messa a repentaglio dai dissensi interni al Pd.
Dati tutti questi riconoscimenti, dobbiamo anche ammettere che i critici hanno ragione su un punto: questa riforma costituzionale, grande passo avanti, è in effetti parziale. Rodotà e altri lo dicono perché negano «l’afflato costituente» alle spallate renziane. Brunetta perché, a tempo scaduto, avrebbe voluto emendare il patto del Nazareno in senso presidenzialista.
Hanno torto sul piano della politica concreta, ma possono aver ragione su un piano di sistema.
Un confronto su presidenzialismo o semipresidenzialismo avrebbe avuto legittimità nel contesto di questa riforma. Anche se è Berlusconi a dirlo in termini polemici, Napolitano per primo non negherebbe che pur avendo rispettato lui con scrupolo i limiti imposti dalla Costituzione, nella prassi il ruolo di presidente è cambiato.
Renzi s’è tenuto alla larga dal tema. All’opposto di quanto fece Berlusconi, l’ha fatto perché si sente troppo forte. E sa che, innanzi tutto a sinistra, un leader forte che provi a formalizzare nuovi poteri può solo suscitare sospetti, destare allarme, dare argomenti ai critici: se lo accusano di svolta autoritaria adesso, figurarsi che cosa direbbero se si stesse discutendo di premierato o di elezione diretta del capo dello stato.
Dunque il presidenzialismo rimane in freezer. Lasciando incompleto il disegno riformatore, e confermando l’equivoco di leadership forti che per esercitare fino in fondo il mandato popolare devono forzare regole disegnate sostanzialmente contro di loro, senza che a quel punto ci siano contrappesi istituzionali adeguati.

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