martedì 17 giugno 2014

Non durerà questo dialogo tra Pd e M5S

Stefano Menichini 
Europa  

Grillo e Casaleggio abbandonano il mito del 100 per cento, virano sulla manovra tattica, pensano di mettere in imbarazzo il Pd. Linea troppo fragile, Renzi ha altre priorità e nessuna paura di andare avanti con Berlusconi (se Berlusconi regge).
Non si andrà lontano, con questo improvviso dialogo tra Pd e Cinquestelle sulla legge elettorale. Per molti motivi. E fa bene chi già si interroga su chi si avvantaggerà al momento della rottura, al momento di scaricare sull’altro la responsabilità di una incomunicabilità che in realtà è la costante della legislatura e forse è nella natura di queste due forze politiche.
Il primo e più importante motivo è nello scarto fra le priorità dell’uno e dell’altro. Grillo e Casaleggio cercano un incontro sulla legge elettorale (dopo essersi battuti per votare col sistema uscito dalla Consulta: ma qui non insisteremo sulla contradditorietà delle mosse grilline, non basterebbe una pagina intera); il Pd, a torto o a ragione, si sente a un passo dall’incassare al senato la fine del bicameralismo. Il sistema elettorale è importante (rimane sempre il discorso della pistola scarica delle elezioni anticipate nelle mani del presidente del consiglio), ma meno urgente di quanto fosse mesi fa.
In secondo luogo c’è il merito. Per avvicinarsi alla visione maggioritaria e bipolare alla quale Renzi ha legato la propria missione, M5S dovrebbe discostarsi davvero tanto dal complesso sistema proporzionale che ha elaborato in casa. Va bene che improvvisamente la flessibilità pare essere diventata una dote dei luogotenenti di Grillo (in attesa dell’effetto che questo farà alla base grillina), ma le distanze sono notevoli.
Infine c’è la motivazione della svolta. Cinquestelle negli ultimi giorni s’è guardata dentro, la sua mossa è prevalentemente figlia di una crisi strategica: finisce il mito della conquista del 100 per cento, lo si sostituisce con la manovra tattica. E nella tattica è compresa – esplicitamente – l’intenzione di staccare Renzi da Berlusconi, o di metterlo in difficoltà sul tema di questa scomoda alleanza. Lo stesso argomento subito raccolto nel Pd dalla minoranza di Civati.
Ma Renzi ha già dato innumerevoli prove di non considerare l’accordo del Nazareno un prezzo da pagare. Né gli elettori gli hanno presentato il conto, come invece prevedevano  i sedicenti interpreti del vero sentimento di sinistra. Sicché, finché Berlusconi tiene sull’intesa, il Pd non ha motivo di mollarlo (confortato dall’opinione del capo dello stato). La debolezza della tardiva svolta di Grillo è proprio qui: che candida il M5S a un ruolo aggiuntivo, non certo sostitutivo. Ecco perché, facile pronostico, la trovata a cinque stelle non durerà a lungo.

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