domenica 15 giugno 2014

LA NUOVA TANGENTOPOLI


Giuseppe Sala
La Repubblica - 15/6/14

Ha dovuto chiedere aiuto al governo: la malapianta della corruzione aveva germogliato anche sui terreni dell’Expo milanese. Ora che è scesa in campo l’Authority di Raffaele Cantone, ora che i lavori sono nelle mani di un supermanager esterno, il commissario straordinario ripercorre gli eventi degli ultimi mesi. Le pressioni, l’appalto truccato, gli arresti, il blocco dei lavori. Assicura che, alla fine, Milano ce la farà, senza tagli e ritardi. E individua le responsabilità di questo rigurgito di Tangentopoli: “Della politica, che fin qui non ha saputo sburocratizzare e rivedere le regole. Degli imprenditori, che solo oggi promettono di isolare i corruttori. E anche dei manager pubblici incapaci di resistere alle promesse di carriera, o peggio alla tentazione del denaro facile”
“Expo, ce la facciamo ma anch’io ho sbagliato a dire sì a Formigoni”
IL count
down sul sito di Expo Milano 2015 dice che mancano 320 giorni al via. Commissario Giuseppe Sala, ce la farete a evitare alla città, anzi all’Italia intera, un’indimenticabile figuraccia internazionale?
«Sì, oggi sono finalmente in grado di dire che ce la facciamo. Sono confortato dai numeri dell’avanzamento lavori che vedo crescere settimana dopo settimana, dall’aver trovato un responsabile dei lavori di grande esperienza come Marco Rettighieri, e, da venerdì, dal decreto del governo che ci permette di risolvere i problemi che si erano incancreniti».
Parliamo di questi ultimi. Com’è stato possibile che Milano ed Expo abbiano sprecato l’enorme opportunità del percorso netto, cioè di portare finalmente in porto un grande evento senza lasciarsi sfiorare dal malaffare?
«Guardi, io mi riconosco due errori: non aver capito quello stava facendo Paris e non essermi impuntato quattro anni fa, quando avrei voluto affidare appalti e lavori a un general contractor esterno, da scegliere con una gara internazionale. E invece mi lasciai imporre da Formigoni e Moratti Infrastrutture Lombarde e Mm».
Paris dice a verbale che lei si fidava solo di Rognoni, cioè dell’uomo forte di Formigoni e di Infrastrutture lombarde.
«Mi pare paradossale: a Paris avevo affidato uno dei settori più importanti dell’azienda. Con ciò, certo, ascoltavamo con attenzione Rognoni, la sua competenza tecnica era indiscussa. Ma a quei tavoli sedevamo in molti. Se rivedo il film di quello che abbiamo fatto in questi quattro anni, e come immagina l’ho fatto mille volte, non ritrovo un solo gesto, un solo atto che oggi non rifarei».
Le carte dicono che c’erano pressioni enormi, dottor Sala. Non solo sull’appalto delle architetture di servizio, quello vinto da Maltauro grazie ai buoni uffici della Cupola, ma anche sulla piastra, il più grande appalto dell’Expo.
«È vero, le pressioni erano perfino pubbliche. Era evidentissimo che Infrastrutture Lombarde e Regione Lombardia tendevano a rallentare l’assegnazione a Mantovani. Ma come avrà letto nelle carte io e i miei collaboratori resistemmo a quelle pressioni. Anzi, più cresceva la percezione del pressing più io mi incaponivo. Alla fine l’appalto fu aggiudicato a Mantovani, che aveva presentato l’offerta migliore».
La stessa Mantovani che, oggi, ritroviamo al centro del «verminaio del Mose», per usare le parole del sindaco Pisapia. Si sente di garantire che l’appalto per la costruzione della piastra Expo è genuino?
«Può immaginare che nei giorni scorsi abbiamo ricontrollato tutti i documenti, tutte le carte, tutti i dettagli. Sì, posso garantire che quell’appalto è genuino. E la Mantovani sta svolgendo un ottimo lavoro sul sito di Rho-Pero».
Si è detto che le deroghe, i commissari, i poteri straordinari sono il terreno di coltura ideale per la corruzione. Dai Mondiali di nuoto all’Expo e al Mose la storia è sempre la stessa.
«Si è detto, ma io non sono d’accordo. Nel caso dell’Expo io non ho mai usato i poteri commissariali per affidare direttamente lavori che avrei dovuto appaltare attraverso una gara pubblica. Ho usato le deroghe per accelerare le gare, quand’era necessario, non per non farle. E ho affidato commesse direttamente solo nei casi in cui le leggi ordinarie me lo consentivano».
Resta il fatto che in principio c’era solo una società di gestione dell’Expo, poi si è deciso che servivano due commissari (Moratti- Pisapia e Formigoni), poi un supercommissario (lei stesso), infine siamo costretti ad affidare i lavori a un supertecnico esterno e perfino a chiamare in causa l’Authority Anticorruzione. Qualcosa vorrà pur dire.
«Certo, vuol dire che in Italia le regole degli appalti pubblici non funzionano più. E che il sistema Italia non è capace di pianificare a lungo termine. Il Bie ha assegnato l’Expo a Milano nella primavera del 2008, noi riusciamo a entrare sui terreni solo nell’agosto 2012: è evidente che poi le cose si devono fare con affanno. Mi dica un’opera pubblica che in questo Paese riusciamo a finire in tempo. Non una. Solo che noi non possiamo aprire l’Expo uno o due anni dopo il 1° maggio 2015. Ecco perché le procedure d’urgenza sono diventate indispensabili».
Dottor Sala, quel marchio con i colori dell’arcobaleno che immaginavamo legato a temi “alti”, la nutrizione e le idee per affrontare il dramma della fame, ora fa da sfondo ai servizi dei tg che parlano di tangenti e cupole. Se lo immaginava, solo qualche mese fa?
«No, ero addirittura stupito che sull’evento ci fosse un così ampio consenso. Poi, all’improvviso, sono passato da quell’ottimismo forse eccessivo all’angoscia di questi giorni. Angoscia che ora mi devo scrollare di dosso, perché resta tantissimo da fare. Mi conforta però il fatto che, quando nei giorni scorsi sono stato all’assemblea del Bie, a Parigi, i commissari mi hanno interrogato sui lavori, sui padiglioni, sui tempi di realizzazione delle opere. All’estero per fortuna si parla di questo, non degli appalti truccati ».
Può escludere che, da qui in avanti, emergano altri episodi di corruzione che riguardano Expo?
«In questi casi bisogna andare con i piedi di piombo, ma credo che quello che doveva emergere sia emerso. La mia sensazione è che la rapidità con cui la Procura è arrivata in fondo a un’inchiesta che riguarda fatti di pochi mesi fa significhi che si sia voluto tagliare immediatamente il ramo malato».
Quali sono le prime cose che farà domani, all’inizio di una settimana che rappresenta l’ennesimo punto di svolta dell’Expo?
«Dobbiamo lavorare su due indicazioni che il presidente del Consiglio Renzi ci ha consegnato. Primo, stressare l’enorme opportunità legata a un tema nobile come quello della nutrizione e delle soluzioni per affrontare il dramma della fame. E, aggiungo io, il made in Italy, che all’estero funziona molto più di quanto noi italiani immaginiamo. Secondo, dobbiamo procedere spediti nell’operazione Open Expo: entro l’estate metteremo online tutti gli affidamenti, i nomi dei componenti di tutte le commissioni di gara, ogni singolo atto che riguardi bandi, appalti, assegnazioni. E anche tutti gli stipendi dei miei collaboratori».
Ha altro da chiedere al governo?
«No, non ho altro da chiedere, mi resta solo tantissimo lavoro da fare».
Se il maltempo frenerà i lavori, o interverranno altri imprevisti, e sarete costretti a tagliare qualcosa, a cosa rinuncerete?
«Stiamo studiando come semplificare l’Expo center, ma non taglieremo nient’altro. Entro questo mese i Paesi già al lavoro sui loro padiglioni saliranno a 24. Dell’obiettivo dei 60 padiglioni “self built”, 53 sono già certi, altri tre o quattro sono oggetto di firma proprio in questi giorni. A Shanghai erano 42. Alla fine credo che tra padiglioni singoli e cluster i Paesi partecipanti non saranno meno di 140. Com’è noto, è un record mondiale».
Dottor Sala, potesse tornare a quattro anni fa, accetterebbe ancora di mettere in piedi l’Expo?
«Senz’altro sì. Ma ho anche voglia di arrivare fino in fondo, di vedere i risultati. E di capire, solo allora, se in futuro ce la farò ancora a lavorare nel settore pubblico».



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