mercoledì 11 marzo 2015

Tra blandizie e richiami
. La lunga notte al telefono di Berlusconi
con i ribelli.


Corriere della Sera 11/03/15
Fabrizio Roncone
Qualcuno avverta Renato Brunetta.

Però dovete avere tatto, non siate bruschi.

Ditegli: quelli di Verdini, in aula, voteranno no, purtroppo hanno anche preparato un documento molto duro. Criticano la linea politica di Silvio Berlusconi e poi ce l’hanno con te.

Anzi, no: non ditegli che i verdiniani ce l’hanno con lui. Lasciate stare. Leggerà e capirà da solo.

Eccolo il documento. 

Ventitré righe dattiloscritte, con sotto 17 firme.

Transatlantico, mezzogiorno, brutto guaio per Forza Italia.

Il cronista che si è offerto per andare ad avvertire Brunetta non torna. Brunetta ormai è il capogruppo di un gruppo in macerie: su 69 deputati, gli sono ufficialmente ostili i 18 controllati da Raffaele Fitto e i 17 di Denis Verdini. Daniela Santanché esce dalla buvette: «Sì, certo, ho firmato pure io» (l’ex Pitonessa: c’è stato un tempo in cui, se volevi sapere cosa stesse accadendo dentro al partito, dovevi chiamare lei; e lei bravissima con il Cavaliere, con quel suo senso di fedeltà estrema, ma non ottusa e non banale: poi però il Cavaliere si fidanzò in casa e allora salire a Palazzo Grazioli le divenne praticamente impossibile). 

Dicono che il documento sia stato scritto da Massimo Parisi, il coordinatore azzurro in Toscana.

 Il succo del testo è questo: le riforme «non sono mostruose» ed era buono e giusto il percorso «che era stato avviato con il patto del Nazareno, un percorso che ci aveva rimesso al centro della vita politica del Paese». A seguire, l’attacco a Brunetta: sulla gestione del gruppo di Fi dove «quotidianamente» si determina «un deficit di democrazia». Poi, rivolti al Cavaliere: «Ti diciamo con franchezza che non ci iscriveremo al Comitato per il No contro queste riforme... Oggi voteremo dunque come da te indicato non per disciplina di gruppo, ma per affetto e lealtà nei tuoi confronti».

 Il capo li ha chiamati al telefono uno ad uno. Certi li ha svegliati a notte fonda. Cambiava toni e modi a seconda del deputato. Galante con le donne, complice con i più anziani, risoluto con i giovani. A 79 anni e con tutto quello che doveva avere nella testa e nella pancia — la sentenza della Cassazione su Ruby Rubacuori avrebbe distratto chiunque — non ha esitato a mettersi lì, al telefono, metodico, persuasivo, carismatico, come faceva in quell’autunno del 1993, quando tutto iniziò.

 A Luca D’Alessandro, capo ufficio stampa e guardia scelta di Verdini, il cellulare è squillato dopo cena.

 «Ha cercato di convincermi... Sai, se ti chiama Berlusconi non è semplicissimo spiegargli perché la pensi diversamente...». 

Lui come ha reagito? 

«Lasci stare... Spero però abbia compreso che oggi accettiamo di votare come ci chiede lui solo ed esclusivamente per rispetto dell’uomo e del momento che vive».

 Si riferisce alla sentenza della Cassazione sul caso Ruby?

 «Esatto».

 Il documento redatto qui a Montecitorio, che riflessi può avere al Senato?

 «Enormi. Lì, Forza Italia ha un peso molto più forte...».

 Sta dicendo che lì i senatori di Forza Italia potrebbero arrivare anche a votare contro le indicazioni del Cavaliere? 

«Sì. Purtroppo temo che lo scenario, se le cose non cambieranno, possa davvero essere questo». 

Arriva Nunzia De Girolamo (ex Forza Italia, adesso Ncd: «Nostra signora del Sannio», cit. Dagospia ). Ha fiuto politico, annusa che le firme sotto il documento possono celare verità importanti.

 «Scusate, mi dite chi sono gli ultimi tre...».

 Sono Antonio Marotta, Carlo Sarro e Luigi Cesaro. 

«Eh, almeno due di loro...».

 Si ferma, sorride, va via. Due di loro spostano voti in Campania. E tanti. Tantissimi. Sono Carlo Sarro, amico caro di Nicola Cosentino, Nick o’ mericano , come lo chiamavano i casalesi, e Luigi Cesaro detto Giggino a’ purpetta.

 Giggino adesso sta al cellulare. È troppo forte. Parlando in dialetto pensa di non essere comprensibile.

 Ma sbaglia.

 (Traduzione abbastanza fedele come succede nella serie tv «Gomorra»). 

«Va bene così, dammi retta: adesso se Berlusconi vuole capire, capisce». 

«Con Verdini sono stato chiaro: un patto è un patto...».

 «Brunetta non conta niente, non esiste, adesso lo cambiamo con un altro».

 Brunetta intanto ha preso la parola in aula. Come al solito, toni durissimi contro Renzi. Parla di regime, di renzismo.

 Accanto a lui siedono Mariastella Gelmini e Mara Carfagna. Immobili. Non hanno firmato il documento dei verdiniani, ma anche loro paiono furibonde. La Carfagna, già scura di carnagione, è nera. La Gelmini, che di Brunetta sarebbe addirittura vice, si morde — letteralmente — le labbra. Gli occhi piccoli come fessure.

 Brunetta parla come se niente fosse accaduto e stia accadendo nel suo gruppo e nel suo partito. Maurizio Bianconi, uno dei fittiani più ruvidi, scuote la testa, dal labiale s’intuisce che dice «incredibile», «quest’uomo è incredibile». Brunetta alza la voce, urla. Quando conclude il suo intervento è rosso in volto e spettinato.

 Cinque minuti dopo la votazione per il ddl sulle riforme costituzionali - 357 voti favorevoli, 125 contrari, 7 astenuti - esce dall’aula e va ad incontrare i giornalisti.

 Nessuno osa dirgli che già circola il nome del suo successore: Elio Vito.

 Lo ascoltiamo in silenzio. Lui, ad un certo punto, arriva a dire che Matteo Renzi non ha più la maggioranza in Parlamento. Una giovane cronista sta per replicare d’istinto, quasi a spiegargli che le cose non stanno esattamente così, anzi il rischio è che decine di forzisti possano votare compatti con il governo, ma un collega più anziano e saggio, con uno sguardo paterno, la induce a tacere.

 Passa Alessandro Di Battista, il grillino che prima d’essere eletto stava sulle Ande, quello che Il Foglio definì un «simpatico mitomane», Di Battista passa e dice polemico, mettendo su la solita aria aggressiva: «Vi siete accorti che noi del Movimento 5 Stelle non siamo entrati in aula? Ma certo... a voi oggi interessava solo il casino di Forza Italia, vero? ».

 Già .

Nessun commento:

Posta un commento