venerdì 6 marzo 2015

Dai risparmi sugli interessi e dal gettito per la crescita del Pil 10 miliardi di “tesoretto” italiano


ROBERTO PETRINI
La Repubblica 6 marzo 2015
La parola magica è stata evocata. Matteo Renzi ha rotto l’incantesimo in un’intervista all’ Espresso: «Le nostre stime di crescita sono prudenti, ma un “tesoretto” è possibile», ha annunciato. Aggiungendo, peraltro, di contare di recuperare soldi anche da un accordo con il Vaticano sulla falsariga di quello siglato con la Svizzera.
L’accenno al tesoretto non è piaciuto alla leader della Cgil Susanna Camusso che ha prontamente consigliato al premier di «evitare» il termine perché la ripresa è ancora scarsa. Tuttavia, sebbene con tutte le cautele del caso, l’idea che il vento stia cambiando sta ormai prendendo piede: il quantitative easing di Mario Draghi fornirà un sostanzioso e duraturo «dividendo dello spread» in termini di minor spesa per interessi e spingerà la crescita in Europa (mezzo punto in più già da quest’anno come annunciato ieri dalla Bce). Tutto ciò in un quadro dove il triplice effetto cambio-tassi-petrolio potrebbe definitivamente portare fuori dalla crisi l’economia del Vecchio Continente.
Persino in Italia dove il governo rimane ancorato ad una stima di crescita striminzita dello 0,5 per cento per quest’anno, pressano le previsioni più ottimistiche della Confindustria e di centri di ricerca come il Cer che già disegnano un Pil all’1 per cento. Di «punto di svolta » ha parlato il ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan nei giorni scorsi e l’allineamento positivo in dicembre di ordini, fatturato e produzione hanno risvegliato le speranze.
Dopo sette anni di crisi, pesanti manovre di bilancio e turbolenze finanziare è necessario applicare uno slancio di fiducia per sbilanciarsi sugli effetti positivi sui nostri conti pubblici, ma le stime più autorevoli cominciano a vedere «rosa». La maggiore crescita e la riduzione dei tassi e dello spread dovuta al «Qe» produrranno entrate in termini di maggior gettito fiscale e meno spesa per interessi che qualche mese fa non potevamo neppure immaginare. Un «tesoretto » di circa 10 miliardi nelle mani di Renzi e Padoan. Che dovranno decidere come e quanto spenderne.
Vediamo i calcoli più accreditati. Le prime cifre sul dividendo dello spread, ormai a quota 96, sono state sfornate dalla Corte di Conti pochi giorni fa: con un tasso dei Btp che si aggirerà intorno all’1,4 per cento (ma l’ex banchiere centrale Lorenzo Bini Smaghi nei giorni scorsi in una intervista a Repubblica ha ipotizzato un tasso inferiore all’1 per cento) il risparmio rispetto alla spesa per interessi prevista nell’autunno scorso dal Def (il Documento di economia e finanza) sarebbe nella ipotesi più ottimista di 6,3 miliardi, in quella più prudente di 4,4 miliardi. Con un debito-macigno come il nostro significa che il fardello di 74,2 miliardi di spesa per «cedole» su Bot e Btp che il Tesoro avrebbe dovuto pagare quest’anno si ridurrà considerevolmente. Il merito sarà tutto di Draghi (nonostante la Bundesbank), ma il beneficio sarà tutto di Renzi.
Sebbene sull’aggancio dell’Italia alla ripresa europea ci sia ancora prudenza (manca all’appello, ad esempio, come dimostrano i recenti dati dell’Istat, la spesa per investimenti ma sta riprendendo il mercato immobiliare) qualche calcolo può farsi anche sul maggior gettito. Se il Pil crescesse dell’1 per cento ci sarebbe, rispetto alle attuali stime, uno 0,4 per cento in più di crescita: siccome l’incremento del gettito fiscale è più o meno la metà dell’incremento del Pil, si parla di circa 3 miliardi di risorse in più.
Naturalmente non è tutto oro quel che luccica: alcune poste della legge di Stabilità, come lotta all’evasione e giochi, sono oggetto di cautela anche da parte della Corte di conti, ciononostante la cifra più attendibile sulla quale si ragiona è intorno ai 10 miliardi (il costo del bonus da 80 euro per un anno). Chi ha in mano il pallottoliere dei conti pubblici fa notare che l’altra partita in grado di incrementare il «tesoretto », sebbene una tantum, è la volontary disclosure, cioè l’operazione di rientro dei capitali illegalmente esportati: più di un osservatore ha calcolato che ci sono attualmente 150 miliardi nelle casse di banche straniere (soprattutto in Svizzera). Se alla sanatoria aderisse il 20 per cento degli interessati rientrerebbero circa 30 miliardi. Su questa cifra si pagheranno in parte Irpef e Irap con le normali aliquote e in parte le tasse sui rendimenti: si calcola in sostanza che il gettito per l’erario potrebbe aggirarsi intorno ai 5-6 miliardi.
Se il dividendo di Super Mario sembrerebbe acquisito, a meno di una nuova travolgente modello-Atene, è ancora nella nebbia la destinazione delle risorse. Un’indicazione verrà dal nuovo Def, cui il Tesoro sta lavorando e che dovrà essere consegnato al Parlamento entro la prima metà di aprile. Le opzioni sono almeno quattro: spingere i consumi, aumentare gli investimenti, portare fieno in cascina in considerazione del nostro alto debito oppure ridurre le tasse. Le priorità dovranno essere chiarite in sede politica: se da una parte la «regola del debito» di Bruxelles preme (il prossimo anno non potremo più invocare le «circostanze eccezionali» dovute alla recessione), dall’altra c’è la necessità di ricostruire l’economia del paese a colpi di investimenti, impianti, tecnologie. La partita è aperta.

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