domenica 15 marzo 2015

La profezia


massimo gramellini
La Stampa 15 marzo 2015
Papa Francesco ha infranto l’ultimo tabù, parlando di morte. La sua. Tra due o tre anni, ha detto. Nessuna malattia invasiva e neanche un lento avvelenamento, come hanno subito sospettato i malpensanti che lo immaginano circondato non proprio da amiconi. Si tratta soltanto, per usare le sue parole, di «un piccolo, vago sentimento». La sensazione, inspiegabile e indimostrabile come tutte le sensazioni, che il suo tempo sia giunto quasi alla fine.  
Allo sgomento con cui è stata accolta l’autoprofezia fa da contraltare la serenità di chi l’ha pronunciata. Un uomo vicino agli ottant’anni che ha talmente vissuto da avere perso la paura di morire. Il contrasto con gli altri potenti della Terra non potrebbe essere più abbacinante, e stavolta per ragioni meno superficiali di una cena al self-service o della scelta di un paio di scarpe rotte. In un mondo dove i grandi vecchi cercano di ingannare la morte millantando inesistenti soprassalti di giovinezza e coltivano un tale terrore delle proprie rughe da stirarsele di continuo come i peli di una moquette ormai lisa, quest’uomo ostenta senza compiacimenti né drammi il declino del corpo e l’avvicinarsi del distacco. Così facendo, ancora una volta, si accosta al sentire della gente comune, ai tanti vecchietti che animano i pranzi familiari allargati della domenica con la previsione, l’annuncio, talvolta addirittura l’auspicio di una loro imminente dipartita. Una tecnica sottile per illudere gli eredi e intanto continuare a comandare.  

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