domenica 15 marzo 2015

«Leggi chiare e riforme concrete 
senza pregiudizi verso le imprese».


Corriere della Sera 15/03/15
Daniele Manca
Giorgio Squinzi pessimista non lo è mai stato. Da imprenditore persino nel maggio del 2012, diventando presidente della Confindustria, sapeva che il compito non sarebbe stato facile ma che l’Italia avrebbe potuto farcela. L’argine di Draghi per salvare l’euro non era stato ancora costruito e il nostro Paese combatteva per tornare a essere ritenuto un partner affidabile in Europa. «Oggi è difficile non guardare con positività al futuro — dice Squinzi —. Il rapporto tra dollaro ed euro è mutato e ci avvantaggia, il prezzo delle materie prime è favorevole, i Paesi emergenti continuano nella loro corsa e questo ha impatti positivi sulla crescita. E poi c’è Expo che può rappresentare davvero il punto di svolta per il nostro Paese sia come vetrina di ciò che sappiamo fare sia come motore di nuove opportunità. Ci credo molto e saremo presenti con una mostra dedicata all’alimentazione industriale sostenibile».

Anche il governo ci ha messo del suo, il Jobs act ha abbattuto un tabù più che ventennale, è stata avviata la riforma del Titolo V che decentrava i poteri dello Stato e che nel suo discorso di insediamento era stata individuato come uno dei freni allo sviluppo…
«Lei ha usato una parola importante: avviata – spiega ancora Squinzi nei suoi uffici milanesi tra le bandiere del Sassuolo, la squadra di calcio sua passione, e quelle del Milan del quale è tifoso —. Ecco il quadro è sicuramente cambiato e in dodici mesi si sono fatte molte cose e ancora di più ne sono state annunciate. Il problema è proprio questo: devono essere attuate. Il compito è pesante lo so. Ma attenzione a sperare che sia qualcun altro a trainarci verso la ripresa».

Proprio lei non sarà mica pessimista, ha previsto la ripresa in questo primo trimestre.
«Certo che no. Molti settori annusano la ripresa. Ma un conto è non essere in recessione un conto è avere una buona crescita attorno al 2%. Sarà stata questione di calendario ma a gennaio la produzione industriale si è fermata, e non sarà un più 0,2% a febbraio a poterci fare dire che c’è la svolta. I segnali che ho da imprenditore sono incerti».

Mi pare che continuiate a fare utili però.
«Non parlo della mia azienda ma del mio settore, l’edilizia: abbiamo perso il 60% dell’attività che avevamo nel 2007».

E il governo che c’entra? Il mercato è fermo.
«Lei dimentica che in questi anni tra Ici, Imu, Tasi, Tari e imposte locali, l’edilizia è stata più che tartassata. La crisi ha influito ma il messaggio è stato chiaro: il mattone finanzia lo Stato. Senza edilizia e infrastrutture è difficile che l’economia possa riprendersi con un buon passo».

Non si può continuare a cementificare…
«Ma quale cementificare? Qui si parla di edilizia abitativa, di infrastrutture senza le quali il Paese non è in grado di muoversi. Si parla di investimenti per riparare al dissesto geologico e sismico dei quali ci ricordiamo solo quando ci sono le tragedie. Non può bastare solo il piano sui porti, pur meritevole».

Sì, ma chi ci mette i soldi?
«Lo Stato dove può, altrimenti si utilizzino formule di pubblico e privato. Ci sono tanti privati italiani ed esteri pronti a investire».

Ci sta dicendo che è finita la stretta sul credito?
«Per molte aziende non c’è mai stata. Per le altre è stata drammatica e resta ancora difficile. Per questo si deve andare avanti con le riforme. Dare certezze agli imprenditori e, soprattutto, non avere pregiudizi verso chi fa impresa».

A dire il vero Renzi di fabbriche ne ha girate parecchie e più con gli imprenditori che con i lavoratori.
«L’attenzione del primo ministro è innegabile e gliene siamo grati. Mi fa piacere che si sia convinto che non c’è ripresa senza impresa. Anzi, ha avviato molti processi positivi, smuovendo nel nostro Paese situazioni bloccate da un quarto di secolo, onore al merito. Ma altra cosa è attuare ciò che si dice e le riforme. Dobbiamo evitare di rimanere al 49esimo posto nella classifica mondiale della competitività».

Dietro questa parola «riforme» spesso non c’è nulla…
«No, ci sono cose molto concrete che, per usare una metafora ciclistica, ci fanno correre con due pietre nella maglietta e altre rischiano di caricarcene».

Però ci faccia degli esempi veri …
«Il primo: le norme sui reati ambientali. Se passasse l’impostazione attuale che non distingue tra chi ha un incidente e si attiva subito per riparare e chi inquina per scelta criminale, è come affermare che gli imprenditori sono malfattori per definizione. Ma chi verrebbe a investire in Italia sapendo che rischia una sanzione penale in caso di incidente al quale ha subito posto rimedio?».

E il secondo caso?
« Il falso in bilancio. Anche qui: per quale motivo non si distingue tra errore e dolo, vogliamo dare ai magistrati la licenza di uccidere le imprese?».

Temete la magistratura?
«Il contrario: non solo non abbiamo nulla contro la magistratura, ma voglio vivere in un Paese dove la certezza del diritto è la regola. Leggi chiare e poco discrezionali avvantaggerebbero per primi i magistrati che le devono applicare. Come vede le riforme sono cose concrete. E se vuole vado avanti con la delega fiscale …».

Tutto questo sempre che il Parlamento permetta.
«Lo so bene che spesso si fanno decreti perché le due Camere da formula di garanzia sono diventate una sorta di alibi per chi non vuole cambiare. Ma sarebbe un errore e forse qualcosa di ancora più grave non sfruttare la situazione generale».

Si riferisce alle misure di Draghi?
«Ma sì. Il “quantitative easing” di Draghi ha dimostrato che pensando all’Europa come una cosa sola e non come una sommatoria di Paesi si possa agire per il bene comune».

A dire il vero la Germania vorrebbe che gli stimoli economici si fermassero subito.
«E ci credo: loro hanno già tassi a zero, pensi al vantaggio competitivo di un’azienda tedesca nei confronti di un’impresa italiana che chiede un prestito alla banca. Per questo mi sembra poco lucido chi pensa di uscire dall’euro».

A chi si riferisce? Salvini, Grillo?
«A quelli che vogliono uscire dall’euro. Abbiamo stimato che se accadesse, il prodotto interno lordo la ricchezza che produciamo si ridurrebbe di colpo del 30%. Serve più Europa non meno Europa».

Ma anche voi vi lamentate della burocrazia europea.
«Certo, più Europa non significa regole minuziose e invadenti, ma per esempio livelli fiscali comuni. Mi spiega perché una mia azienda in Italia deve avere una pressione fiscale del 55% e in Polonia la stessa azienda del 19%?».

Me lo dica lei.
«Perché la politica di Draghi ha in mente l’Europa, molti altri leader europei no. Il semestre italiano ha mostrato che si poteva passare da una direzione orientata al mero rigore e all’amministrazione contabile a una bussola più orientata alla crescita. Sarebbe autolesivo non sfruttassimo questo quadro positivo».

Mi pare prevalgono i timori sul futuro…
«Tutt’altro. Siamo la quinta potenza industriale e l’ottava economia al mondo. Lo siamo diventati senza materie prime e risorse energetiche ma solo grazie alla materia grigia che per fortuna non manca nella testa degli italiani, dei lavoratori e degli imprenditori. Anche la tanto bistrattata formazione è tutt’altro che cattiva. Non ho problemi a dirlo chiaramente: quando assumo nelle mie aziende, a parità di laurea tra un italiano, un francese o un tedesco scelgo sicuramente l’italiano o l’italiana, e non per nazionalismo» .

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