martedì 17 marzo 2015

Appalti truccati, quattro arresti.


Corriere della Sera 17/03/15
Marco Gasperetti
Ci sono quasi tutte le grandi opere nel carnet della rete del presunto malaffare: dai cantieri dell’Expo all’autostrada Salerno-Reggio Calabria, dalla Fiera di Roma all’Alta velocità Milano-Verona. E poi il terminal di Olbia, l’hub portuale di Trieste, il completamento dell’autostrada Livorno-Civitavecchia, il Metro 5 di Milano, City Life e altri cantieri appetitosi. Miliardi di euro, più di 25, da gestire con tangente (il 3%) e prezzi lievitati anche del 40%. Almeno così la pensano i magistrati di Firenze, dove tutto è nato e si è espanso da un’inchiesta sulla Tav che è diventata un macigno gettato in un mare di illegalità con cerchi concentrici che hanno raggiunto tutta Italia.

Dopo indagini condotte dai carabinieri del Ros e dai pm Luca Turco, Giuseppina Mione e Giulio Monferini, sono state arrestate quattro persone. Nomi eccellenti. Primo tra tutti quello di Ercole Incalza, 70 anni, da più di trent’anni «principe» del ministero dei Lavori pubblici, quell’«Ercolino» — come lo descrive in un’intercettazione un alto dirigente delle Ferrovie dello Stato — che «decide i nomi tra tutti i suoi, fa il bello e il cattivo tempo» e «ormai là dentro è il dominus totale e senza di lui non si muove foglia». Gli altri tre arrestati sono imprenditori: il milanese Francesco Cavallo, 55 anni, il frusinate Sandro Pacella, 55 anni, collaboratore di Incalza e il romano, ma da tempo residente a Firenze, Stefano Perotti, 57 anni.

Gli indagati sono in tutto 51 e tra questi spiccano nomi eccellenti di politici, sia del centrodestra che del centrosinistra. Ci sono l’ex europarlamentare Vito Bonsignore, Stefano Saglia, già sottosegretario alle Infrastrutture, Antonio Bargone, ex sottosegretario ai Lavori pubblici, presidente della Società autostrada Tirrenica e commissario governativo dimissionario e Rocco Girlanda, sottosegretario alle Infrastrutture. Altri nomi illustri escono dalle intercettazioni: quelli del ministro alle Infrastrutture Maurizio Lupi, del ministro dell’Interno Angelino Alfano e del viceministro Riccardo Nencini che però non sono indagati. «Dopo che hai dato la sponsorizzazione per Nencini, l’abbiamo fatto viceministro», dice Lupi al telefono con Incalza. Per Lupi si apre invece il caso del figlio Luca che, secondo il gip, avrebbe ottenuto degli incarichi lavorativi dall’imprenditore arrestato Perotti.

Le accusano mosse dalla Procura di Firenze vanno dalla corruzione all’induzione indebita, dalla turbativa d’asta ed altri delitti contro la Pubblica amministrazione e non sono per tutti uguali. La Procura aveva chiesto anche l’associazione per delinquere. «Ma il gip l’ha rigettata perché non ha ritenuto che sussistessero gli elementi di gravità per contestare questo reato», ha detto in conferenza stampa il procuratore di Firenze, Giuseppe Creazzo. L’inchiesta continua. Soltanto ieri sono state effettuate in tutta Italia più di cento perquisizioni e si stanno vagliando molte testimonianze giudicate «di grande interesse» dagli investigatori.

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