lunedì 23 marzo 2015

“Non caccio gli indagati ci si dimette per questioni politiche ed etiche non per gli avvisi di garanzia”


GOFFREDO DE MARCHIS
La Repubblica 22 marzo 2015
Matteo Renzi Il premier nega il “doppiopesismo” tra Lupi e i sottosegretari. “Maurizio ha fatto una valutazione personale, giusta e saggia. Incalza? Mai positivo che i boiardi restino troppo a lungo”
I due pesi e le due misure non esistono. «Ma stiamo scherzando? Ho sempre detto che un avviso di garanzia non può giustificare le dimissioni. E lo confermo». Significa che Matteo Renzi non chiederà ai sottosegretari indagati di lasciare il governo. E non lo farà con il candidato in Campania De Luca, condannato in primo grado. Dopo la settimana dell’inchiesta Grandi Opere che ha travolto Lupi, il premier e segretario del Pd risponde alle accuse di doppiopesismo nel rapporto tra politica e giustizia. Ma ieri mattina ha accolto a Ciampino le bare dei morti nell’attentato di Tunisi.
«Per carità — dice — il Pd, l’inchiesta sulle infrastrutture, gli attacchi di D’Alema: tutto importante. Ma oggi penso soprattutto al dolore dei familiari delle vittime. La vicenda di Tunisi è terribile ma rafforza la nostra analisi: la comunità internazionale non può far finta di nulla su ciò che accade in Libia, perché lì pare sia nato l’attentato al Museo Bardo. Da qui al 17 aprile, quando incontreremo Obama, dobbiamo intensificare gli sforzi per verificare se la soluzione diplomatica è ancora in piedi o no».
Dopo le dimissione di Lupi, non tocca anche ai sottosegretari indagati? Cinque sono del Pd (Barracciu, Del Basso De Caro, De Filippo, Bubbico e Faraone) e uno del Ncd (Castiglione)?
«Assolutamente no».
Fa la faccia feroce con gli esponenti di altri partiti e perdona quelli del suo?
«Ho sempre detto che non ci si dimette per un avviso di garanzia. E se parliamo di faccia, le dico con sguardo fiero che per me un cittadino è innocente finché la sentenza non passa in giudicato. Del resto, è scritto nella Costituzione. Se si dice che è la più bella del mondo, poi bisogna almeno leggerla, altrimenti non vale. Quindi perché dovrebbe dimettersi un politico indagato? Le condanne si fanno nei tribunali, non sui giornali: è un principio di decenza oltre che di buon senso ».
Lupi però, dopo il pressing di Palazzo Chigi, non è più ministro.
«Il suo caso è diverso, non è nemmeno indagato. Ha fatto una valutazione giusta e saggia secondo me. Una scelta personale e molto degna: dare le dimissioni in politica non è così frequente».
Non può chiedere la stessa saggezza agli altri politici coinvolti nelle inchieste?
«Ho chiesto le dimissioni a Orsoni quando, patteggiando, si è dichiarato colpevole. Ho commissariato per motivi di opportunità politica il Pd di Roma nonostante il segretario locale fosse estraneo alle indagini. A suo tempo avevo auspicato il passo indietro della Cancellieri sempre con una motivazione strettamente politica. Altro che due pesi e due misure: le dimissioni si danno per una motivazione politica o morale, non per un avviso di garanzia».
Questa “dottrina” non vale per De Luca, condannato e candidato governatore?
«Lui ha fatto una scelta diversa, considera giusto chiedere il voto agli elettori e si sente forte del risultato delle primarie».
Tanto vale allora cambiare la legge Severino.
«La modifica della Severino non è all’ordine del giorno, non è un tema in discussione».
La sua lotta alla burocrazia si è fermata davanti ad alcune porte. Ercole Incalza stava al ministero anche nell’anno del suo governo. Non è compito della politica fare piazza pulita prima dei magistrati?
«Incalza, che per me è un cittadino innocente fino a quando non sarà condannato, ha lavorato con noi fino alla scadenza del suo contratto. Fine 2014, punto. Indipendentemente dalle indagini, un eccesso di permanenza al potere negli stessi posti non è mai positivo. Ma la vera strada per combattere la burocrazia non è tanto la rotazione dei dirigenti, quanto la semplificazione. Rendere più trasparenti e comprensibili le decisioni della pubblica amministrazione, semplificare il codice degli appalti, mettere online in modo chiaro tutti i dati dei ministeri: questo consente il controllo sociale dei cittadini».
Don Ciotti dice: con la responsabilità civile dei giudici siete andati come razzi, con la legge anticorruzione siamo a carissimo amico.
«Voglio troppo bene a don Luigi per fare polemica con lui. Mi aspettavo però che ieri spendesse mezza parola sulla declassificazione del segreto di Stato o sul fatto che l’Autorità Nazionale Anti Corruzione fino a un anno fa non esisteva, era solo il comma di un articolo di legge, e Cantone era un giudice di Cassazione».
Resta il fatto che la lotta all’illegalità sembra un punto debole del suo governo.
«In questo anno abbiamo fatto molto e molto abbiamo proposto. Il raddoppio dei tempi della prescrizione sulla corruzione è un messaggio chiaro: non si pensi di fare i furbi e tirarla per le lunghe. L’autoriciclaggio e il falso in bilancio sono due nostre proposte di legge, che prima non c’erano. Sulla responsabilità civile dei magistrati trovo che sia un fatto di civiltà, di cui vado orgoglioso. Poi, intendiamoci, tutte le critiche vanno bene: non è un caso che la commissione Gratteri, che io ho istituito qualche mese fa, stia per formalizzare alcune proposte di cui stiamo discutendo con il ministro Orlando».
Ma la legge contro la corruzione arranca. Non lo dice solo don Ciotti.
«Si può essere a favore o contro un governo ma non si può essere contro la realtà: in un anno abbiamo sbloccato partite ferme da anni a cominciare da Anac, segreto di Stato, responsabilità civile. Su questi temi accetto consigli da tutti, ma non prendiamoci in giro. Il problema non sono le leggi, ma farle rispettare. Mandare in galera chi ruba sul serio e difendere gli innocenti che sono sbranati dal circo mediatico-politico del “si deve dimettere perché lo stanno indagando”».
Metterete un altro dirigente dell’Ncd alle Infrastrutture?
«Le valutazioni sul ministro si fanno al Quirinale».
Ha un identikit?
«Il ministro che verrà non è importante in una logica interna di partiti, ma sarà decisivo per far ripartire l’Italia. Vogliamo uno bravo, il colore della tessera non ci interessa. Perché la crescita non sia microscopica occorrono gli investimenti pubblici e privati. Non serve Keynes, basta la logica. Gran parte di questi investimenti passano da lì».
L’associazione proposta ieri da D’Alema sembra la premessa di una scissione.
«D’Alema ha utilizzato un lessico che non mi appartiene. Espressioni che stanno bene in bocca a una vecchia gloria del wrestling, più che a un ex primo ministro. Credo fosse arrabbiato per Roma-Fiorentina: ha capito che il vero giglio magico è sceso in campo all’Olimpico... Compito del Pd è cambiare l’Italia, sia che D’Alema voglia sia che D’Alema non voglia. E noi lo faremo».
È recuperabile il rapporto con i dissidenti ?
«Una parte della minoranza ha questa simpatica abitudine di trattarci come usurpatori, come se fossimo entrati nottetempo al Nazareno scassinandolo. Prima o poi accetteranno il fatto che se ci siamo noi, e non più loro, è perché ci hanno scelto gli iscritti, ci hanno votato gli elettori alle primarie e ci hanno sostenuto gli italiani con una percentuale di consensi che non si vedeva dal 1958».
D’Alema arma la minoranza: deve assestarle dei colpi e lasciarle i segni. Potete stare nello stesso partito?
«Scommetto che non ci sarà alcuna scissione. Il Pd è un luogo aperto al confronto. Nessuno può pretendere di avere la verità in tasca. La mia proposta è quella di discutere e confrontarsi sul modello di partito, sull’identità della sinistra che cambia in Europa e in Italia. Cuperlo ha picchiato duro su di me ma ho apprezzato la sua analisi. Il dibattito ha bisogno di tutti. Non cacciamo nessuno. Da qui al congresso del 2017 abbiamo due anni per discutere di come irrobustire il Pd uscendo dalla logica dei talk e dei tweet e gustando la fatica di ascoltarsi».
Ha festeggiato la richiesta di archiviazione per suo padre Tiziano?
«Sono contento per lui. So quanto ha patito dal punto di vista umano. Ma i magistrati di Genova devono ancora pronunciarsi e dunque non ho titolo per parlare: rispetto il lavoro dei giudici sul serio, col mio silenzio. Penso solo che mio padre oggi avrà i titoli sui giornali perché la sua vicenda fa notizia».
Non le fa piacere?
«Ma tanta gente che viene indagata e poi assolta finisce stritolata dalle circostanze esterne. Non è colpa dei magistrati, che devono fare indagini. Non è colpa dei giornalisti, che devono dare notizie. Ma una soluzione va trovata perché le persone meritano di essere giudicate in tribunale e non dall’opinione pubblica».

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