giovedì 19 marzo 2015

Renzi insiste sull’addio: se si arriva alla mozione non è detto che ti difenda.


Corriere della Sera 19/03/15
Maria Teresa Meli
È una partita difficile quella in cui è impegnato in queste ore Matteo Renzi. Angelino Alfano non è riuscito a convincere Maurizio Lupi a dimettersi. Il ministro delle Infrastrutture non ha voluto sentire ragioni. Nonostante anche ieri il premier abbia spiegato al titolare del Viminale la situazione: «È vero che non c’è un problema giudiziario, ma c’è un problema di opportunità politica».

 Dopodiché il presidente del Consiglio ha capito che tocca a lui condurre il gioco e che l’unica è continuare ad adottare il comportamento a cui si è attenuto finora. Ossia, mantenere un rigoroso silenzio. «Magari a Lupi — ha spiegato Renzi ai collaboratori — ci vuole del tempo per pensare e per decidere, quindi diamoglielo». Insomma, la linea del premier resta la stessa dell’altro ieri: «Decida il ministro di fare un passo indietro». Ma con una novità. Di non poco conto rispetto alla mozione di sfiducia che verrà votata alla Camera la settimana prossima. Già, perché né Renzi né il Partito democratico intendono accettare supinamente le decisioni di Lupi nel caso in cui questi decida di non dimettersi e di andare avanti come se nulla fosse, anche se dalle carte della Procura di Firenze continuano a emergere nuovi particolari che riguardano lui e la sua famiglia.

 Del resto, non è un caso se Renzi in un ministero importante come quello delle Infrastrutture non abbia messo come sottosegretario nemmeno un suo uomo. Perché metterlo se non era riuscito a smantellarne la struttura ereditata dal precedente governo e dagli altri esecutivi?

 Comunque in questa fase così delicata a Renzi non resta che tacere, almeno pubblicamente, per riservare l’onore delle armi al ministro delle Infrastrutture nel caso in cui, dopo l’informativa che darà al Senato domani, decidesse di dimettersi. O, ed è questa la vera speranza del premier, se facesse il passo indietro ancora prima viste le pressioni. È chiaro che una critica, ma anche solo una parola di troppo da parte del premier potrebbero irrigidire ulteriormente Lupi e rafforzarlo nella sua volontà di restare nel suo dicastero, complicando ulteriormente le cose, perciò Renzi tace. 

Ma il silenzio di Renzi non deve essere scambiato per assenso. Se Lupi non dovesse dimettersi entro questa settimana la parola passerebbe all’aula di Montecitorio, lì dove si discuterà la mozione di sfiducia individuale nei suoi confronti. A quel punto — è il messaggio che è stato fatto arrivare al diretto interessato — non è affatto detto che il Pd si schiererà a difesa del ministro delle Infrastrutture. Perché, per dirla alla Matteo Orfini, «i punti da chiarire sono sempre di più». E, come spiega un renziano di rango, «i deputati del Partito democratico non sono dei soldatini disposti a votare per salvare Lupi».

 Insomma, per farla breve, se il ministro del Nuovo centrodestra non dovesse mollare la presa, potrebbe essere lo stesso premier a fargliela mollare: «Se si arriva in Aula con la mozione non è detto che ti copriamo e ti difendiamo». È una minaccia, anche se è ovvio che Renzi per primo non vuole arrivare a uno showdown alla Camera. Piuttosto vorrebbe mantenere il rapporto di collaborazione tenuto finora con il Nuovo centrodestra, affidando il ministero degli Affari regionali a Gaetano Quagliariello e prendendo provvisoriamente l’interim del ministero delle Infrastrutture, per avere la possibilità di fare un repulisti in quel dicastero.

 Giungere al punto di decidere con la mozione di sfiducia in Aula sarebbe dirompente. Ed è per questo che in realtà nessuno vuole arrivare sino a questa deriva. Non lo vuole il premier che vede la ripresa dietro l’angolo e sa che le elezioni non farebbero bene al Paese, e perciò desidera risolvere la questione prima. Ma, soprattutto, non lo vogliono i suoi avversari, destinati a essere spazzati via dal voto anticipato: Forza Italia, che sarebbe pronta a sostenere Lupi e la minoranza del Partito democratico che da ieri mette in giro veleni contro Renzi e i suoi collaboratori riguardo all’inchiesta fiorentina, quando dalle carte si evince che il premier era il «terrore» della cricca degli appalti.

 Ed è sulla paura delle elezioni e sul fortissimo istinto di sopravvivenza dei parlamentari che il presidente del Consiglio fa affidamento per risolvere prima la vicenda: «State tranquilli — rassicura i suoi — questa partita la vinciamo noi».

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