giovedì 16 aprile 2015

«Sì ad azioni antiterrorismo in Libia 
L’Ue non chiuda le porte alla Turchia».


Corriere della Sera 16/04/15
Paolo Valentino
In Libia siamo «in corsa contro il tempo», ma se non riuscissimo a stabilizzare il Paese, sarebbero necessarie operazioni antiterrorismo per contenere l’Isis e azioni per frenare le ondate migratorie. La reazione della Turchia alle parole del Papa sul genocidio armeno è «fuori misura», ma il cammino di Ankara verso l’Europa deve rimanere aperto. L’Italia «non accetta lezioni» sulle sanzioni a Mosca per l’Ucraina, ma se gli accordi di Minsk continueranno a essere applicati, «occorrerà dare un segnale» e cominciare a ridurle. Risponde a tutto campo il titolare della Farnesina Paolo Gentiloni, nell’intervista concessa al Corriere a margine del vertice dei ministri degli Esteri del G7, conclusosi ieri a Lubecca. E’ stato Gentiloni, nella mattinata, a far rapporto sulla crisi in Libia ai capi delle diplomazie occidentali.

«Il messaggio al G7 è che noi non ci rassegniamo all’idea che il processo di stabilizzazione sia impossibile. Quindi occorre un impegno diplomatico forte dei grandi Paesi per convincere le parti e gli attori regionali a formare un governo più inclusivo, sulla base delle proposte di Bernardino León, l’inviato dell’Onu. Solo su questa minima base, l’Italia è pronta a essere “framework nation”, il Paese che coordina il campo europeo e quello del G7, in collaborazione con arabi e africani, mettendo a disposizione le nostre forze per monitorare e stabilizzare quel processo. Ma non abbiamo davanti mesi. Il doppio rischio dell’avanzata del Daesh (Isis, ndr ) e delle ondate migratorie ci costringe a correre contro il tempo. Ripeto, non mi rassegno, l’intesa è possibile ma parliamo di settimane».

Se non si riuscisse a far nascere un’intesa politica in Libia in tempi brevi, premessa indispensabile di un’azione internazionale, ci sarebbe un piano B, cioè misure di sicurezza alternative immediate, in grado di arginare il Daesh e metter sotto controllo la situazione migranti?
«Ci sono piani alternativi per il contenimento dei rischi, ma non parliamo di piani B».

E di cosa parliamo? Presidio di siti strategici, interventi nei campi dove i trafficanti radunano i profughi?
«Parliamo di attività mirate antiterrorismo ad esempio nel quadro della coalizione anti-Daesh, di azioni contro il traffico di esseri umani e di collaborazione per l’accoglienza dei rifugiati con Paesi vicini. È evidente che queste attività avrebbero solo una funzione di contenimento, mirata a limitare i rischi di tracimazione dei problemi verso di noi e l’Europa. Altra cosa è stabilizzare la Libia e avere un governo sul quale investire nel lungo periodo. Di questo abbiamo discusso nel G7. Il tentativo di stabilizzazione va esplorato fino in fondo, tenendo però conto del fattore tempo».

Cosa chiediamo concretamente alla Ue sul fronte migranti?
«Due cose. La prima: lavorare sulle aree di origine della crisi. Non dimentichiamo che quelli che sbarcano non sono libici, usano la Libia ma vengono da Siria, Corno d’Africa, la fascia Mali, Niger e Repubblica Centrafricana. Su questo con la Ue si sta facendo molto. Dove fin qui non c’è stata risposta adeguata è sul monitoraggio e soccorso in mare, che grava al 90% sulle nostre spalle. La Ue spende per l’operazione Triton tre milioni di euro al mese. L’Italia gestisce di fatto tutte le operazioni: il problema è europeo, il rimedio solo italiano. Qualcosa non va. Anche se do atto ai commissari Avramopoulos, Timmermans e a Federica Mogherini di essere consapevoli del problema».

Concretamente chiediamo...
«Più soldi innanzitutto. E poi c’è un problema più delicato: il soccorso in mare porta la decisione su dove le persone salvate devono essere indirizzate: nel porto sicuro più vicino? Nel Paese di origine del natante che li recupera? La Ue deve rispondere con chiarezza».

Il governo turco ha reagito duramente alle parole del Papa sul genocidio armeno. Siamo sull’orlo di una crisi diplomatica dell’Occidente con Ankara. Il tema riapre la questione del processo di adesione della Turchia alla Ue. Qual è la posizione italiana?
«Vedo che le autorità turche continuano a prendere posizioni che considero fuori misura. La linea della Santa Sede data dai tempi di Giovanni Paolo II. Nel percorso di avvicinamento tra Turchia e Ue ci sono state difficoltà notevoli e uno dei dossier è la distensione con Erevan, che fino a pochi mesi fa aveva mostrato segnali incoraggianti. La nostra posizione è stata sempre di apertura. Penso che vada mantenuta, nell’interesse dell’Europa, perché la Turchia è un Paese di 90 milioni di abitanti e la sua evoluzione positiva può essere favorita se non da un ingresso a breve termine, dal proseguimento di questo cammino».

Parliamo di Ucraina, l’Italia è troppo morbida con Mosca?
«La tregua concordata a Minsk non ha subito violazioni drammatiche o clamorose, nonostante le tensioni degli ultimi giorni. La stabilizzazione richiede il consolidamento del cessate il fuoco e il monitoraggio delle frontiere da parte dell’Osce. Ciò dipende dai russi. In parallelo serve il decollo di un processo di riforma economica e costituzionale in Ucraina, con la concessione di autonomia sostanziale alle regioni dell’Est. L’Italia è fra chi dice che, se nel corso dei prossimi mesi ci fossero evoluzioni positive in questo senso, sarebbe giusto dare un segnale sul fronte delle sanzioni, che abbiamo sempre detto essere reversibili. Oggi è presto per dirlo. Ma a chi presenta questa posizione come troppo “morbida”, dico che non accettiamo lezioni da nessuno sul rigore con cui applichiamo le sanzioni, che non è inferiore a quello di altri Paesi europei, semmai il contrario. Sicuramente, con la Germania, subiamo le maggiori conseguenze economiche».

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