lunedì 13 aprile 2015

Il premier, le Regioni e l’idea di tagliare 
le Asl. Il modello della Toscana.


Corriere della Sera 12/04/15
Margherita De Bac
All’inizio c’erano le Usl, le unità sanitarie locali. Poi nel ‘93 sono arrivate le Asl, le aziende. Adesso, almeno in Toscana, arrivano le Super Asl. Tre secondo la legge approvata un mese fa, nord, sud e centro, ribattezzate aree vaste. Assorbiranno le attuali 16 sorelle più piccole (12 sanitarie e 4 ospedaliere universitarie), a capo di ciascuna un coordinatore.

L’assessore alla Salute della Regione Luigi Marroni, ingegnere meccanico, da alto dirigente di Fiat trattori ha gestito felicemente due fusioni. L’ultima impresa in un settore diverso lo inorgoglisce addirittura di più: «Lei non ha idea delle difficoltà. Quando la riforma entrerà a regime risparmieremo almeno il 5-6% del fondo totale. Avevamo già centralizzato acquisti, informatica e amministrazione del personale, compresi i bandi. Settanta milioni all’anno in meno».

 Piacerà a Renzi la dieta dimagrante toscana, visto le affermazioni dopo il sì al Def, il documento di economia e finanza, venerdì sera: «Se fossi presidente di una Regione con 7 Provincie e 22 Asl le ridurrei con le relative poltrone, magari aiuterebbe ad avere migliori risultati». Luca Zaia governatore del Veneto si è riconosciuto nell’esempio ed ha replicato con veemenza: «Sono allibito. Forse non sa che il nostro sistema è in attivo da 5 anni senza aver mai introdotto addizionali Irpef. Renzi sfrutta la sua veste istituzionale per fare campagna elettorale».

 La proposta del presidente del Consiglio fa discutere. Le Asl italiane sono 139 alle quali si aggiungono le 86 ospedaliere e universitarie. Secondo i dati del ministero della Salute, aggiornati al 2015 e rielaborati da Quotidiano Sanità, il primato è del Veneto, con 21 (anziché le 22 citate da Renzi), il record delle universitarie-ospedaliere è della Lombardia, con 29.

Non c’è un’indicazione nazionale sul contenimento. Le Regioni hanno dunque deciso autonomamente di tagliare ritenendo che la soluzione porti risparmi di soldi e poltrone (l’hanno già fatto Friuli ed Emilia Romagna). In Lombardia è in corso un processo che porterà alla nascita di un’unica Agenzia di tutela della Salute, con funzioni di programmazione, acquisto e controllo. Organismo di supporto tecnico amministrativo a aziende sociosanitarie territoriali con un bacino di utenza sotto i 600 mila abitanti. In Umbria il taglio risale al 2012, sopravvissute le Asl di Perugia e Terni. Un grande vantaggio afferma la presidente Catiuscia Marini: «Il 60% degli acquisti avvengono attraverso una centrale unica. Le Asl fanno solo organizzazione dei servizi sul territorio. D’accordo con Renzi».

 Ma per il cittadino cosa cambia? Enrico Desideri vicepresidente nazionale di Anci, l’associazione dei Comuni, rassicura: «C’è il timore che la sanità si allontani. Invece se come abbiamo voluto in Toscana le amministrazioni delle città potranno intervenire sulla programmazione ci saranno servizi migliori specie per i più deboli, come gli anziani grazie all’integrazione col sociale». Teresa Petrangolini, consigliere della commissione sanità del Lazio, ricorda l’unificazione entro il 2015 di RmA e RmE nella Capitale: «Se avremo indicazione di continuare non c’è problema». Quanto rende l’operazione in tema di risparmi?: «Noi abbiamo quasi dimezzato, da 13 a 7 aziende — risponde Raffaele Calabrò, delegato per la sanità in Campania, in piano di rientro —. Però calcolare gli effetti sugli sprechi è difficile. In generale siamo quelli che hanno ridotto maggiormente i debiti».

 E i vantaggi sulla perdita di poltrone? Andrebbero verificati. Troppo spesso chi viene scalzato dalle stanze dei bottoni, anche se per comportamenti non virtuosi, viene ricollocato da un’altra parte. Giovanni Monchiero, past president di Fiaso, la federazione dei direttori generali Asl, deputato di Scelta Civica, è molto irritato: «Non hanno di meglio da proporre e allora tornano sul vecchio modello del sistema centralizzato, della burocrazia, strada già percorsa, inutile. Un dirigente guadagna meno di un medico, 120-130 mila l’anno. Va motivato, non umiliato».




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