sabato 4 aprile 2015

Alfano sfida Renzi: “Il ministro lo dobbiamo decidere noi”


FRANCESCO BEI
La Repubblica 4 aprile 2015
Il leader centrista vuole lanciare l’Ump italiana puntando sull’esplosione di FI alle regionali Dopo il voto l’appello a transfughi e moderati
«Il ministro lo decidiamo noi, quando vogliamo noi». Angelino Alfano, in una riunione prima delle feste, detta la linea sul braccio di ferro in corso con il premier per il mini-rimpasto di governo. L’ostentato distacco rispetto alla nomina del nuovo ministro del Mezzogiorno (Affari regionali più Coesione territoriale) è funzionale a evitare l’accusa ricorrente di «poltronismo » rivolta agli ex Pdl alleati con Renzi. Ma la realtà è che tutta l’area che si ritrova sotto le insegne Ncd-Udc è in fermento. L’indifferenza rispetto a chi dovrà andare al governo al posto di Lupi maschera l’inizio di un’operazione che avrà la sua accelerazione dopo le regionali. Il progetto, a cui si sta dedicando soprattutto il coordinatore Gaetano Quagliariello, si chiama in codice «Unione per la nazione» e ricalca il modello francese dell’Unione per la Repubblica. Chiaramente si tratta di una strada alternativa alla deriva di progressivo assorbimento nel partito della nazione immaginato da Renzi. Da qui il primo segnale di vita con il rifiuto di farsi scegliere il sostituto di Lupi direttamente nel poker di donne - Mazzoni, Bianchi, Castaldini, Chiavaroli - immaginato dal premier. L’operazione è ai blocchi di partenza e vedrà Alfano, dopo le regionali, lanciare un appello «a tutti quelli che non vogliono finire sotto Renzi o dietro Salvini». Con l’idea di dar vita non a un partito, ma a un «patto federativo » del centrodestra come appunto avvenuto nella Francia della Quinta Repubblica. Per creare una massa critica in grado di contendere al Pd il premio di maggioranza al ballottaggio previsto dall’Italicum. Il laboratorio perfetto per questo disegno sono le Marche, dove il presidente uscente di centrosinistra, Gian Mario Spacca, si candida contro il Pd e contro Lega e Fratelli d’Italia. Con Forza Italia che cerca di salire sul carro centrista. Ma analoghe operazioni sono quelle in corso in Veneto con Tosi, in Umbria, in Puglia e persino in Campania. Regione nella quale Area popolare, precisano da Roma, «sosterrà Caldoro in quanto Caldoro, non perché appartenga a Forza Italia ». La scommessa non dichiarata è quella di una deflagrazione definitiva del partito di Berlusconi. Con i resti di quello che un tempo fu l’esercito del Cavaliere che correranno a rifugiarsi sotto le nuove bandiere. E quanto accaduto ieri in Puglia, dove Francesco Schittulli - il candidato presidente - ha mollato i forzisti per restare con Fitto, è stato letto dagli alfaniani come il prodromo di quanto potrebbe accadere dopo il voto. Tanto più che Schittulli, considerato vicino ad Area popolare, potrebbe fare il miracolo di chiudere in Puglia la decennale rivalità tra Quagliariello e Fitto in nome di un comune futuro politico post-berlusconiano. Insomma le Regionali sono per Ap un test di maturità, per capire se il progetto ha benzina sufficiente per andare avanti. E magari attrarre anche Italia Unica di Corrado Passera. Così l’offerta di un ministero di serie B è vista al momento più come una trappola di Renzi che come un’opportunità. Sfumata la possibilità di un rientro di Quagliariello al governo, il fatto che il premier potesse liberamente scegliere la sua “quinta colonna” tra le file Ncd ha fatto scattare l’allarme tra gli alfaniani. Da qui lo stop e il rinvio della questione rimpasto a dopo le vacanze pasquali. Con un avviso per Renzi: «Non accettiamo che da palazzo Chigi esca una rosa tra cui scegliere ». Ergo, al momento nessuna delle quattro donne immaginate da Renzi ha possibilità di farcela. Certo, l’operazione «Unione per la Nazione» presuppone che Forza Italia perda rapidamente consenso e Berlusconi si rassegni a passare la mano. Un trend che al momento i sondaggi riservati in mano al Pd sembrano confermare. L’ultimo, che risale a giovedì 2 aprile, dà infatti Forza Italia al 14,6 per cento, un punto in meno rispetto al dato di fine marzo, mentre il Pd addirittura cresce al 39,4 sul 38,6 dell’ultima rilevazione. Anche la fiducia nel governo resta stabile al 37 per cento. Numeri attesi con trepidazione a palazzo Chigi dopo lo scandalo della cooperativa rossa Cpl Concordia.





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