mercoledì 22 aprile 2015

Is, un nuovo video shock massacrati 28 cristiani etiopi. “Membri di una chiesa ostile”

FABIO SCUTO
La Repubblica 22 aprile 2015
Dal caos libico emerge un moloch assassino e sanguinario che ha preso piede mentre due governi sostenuti da milizie rivali combattono tra loro. Il Califfato islamico di Abu Bakr Al-Baghdadi ha messo solide radici in Libia e i suoi uomini in armi amministrano la giustizia con il coltello e il kalashnikov, in una spirale d’orrore che lascia sgomenti. L’ennesima strage è stata ancora una volta immortalata in un video shock dove 28 etiopi cristiani vengono uccisi e decapitati perché «membri di una Chiesa ostile». Nel filmato di 29 minuti diffuso dal canale Al Furqan , l’ala mediatica del movimento, i terroristi spiegano che le esecuzioni sono state condotte da due gruppi affiliati all’Is nella provincia di Barka, nella Libia orientale, e nella provincia del Fezzan, nel sud.
L’ultimo horror dell’Is ci mostra due gruppi di uomini nelle mani dei miliziani. Il primo è composto da 12 persone che indossano la famigerata tuta arancione, mentre scortati dai loro boia camminano sulla battigia di una spiaggia libica. Poi il drammatico rituale con il coltello e il sangue che si sversa nelle acque del Mediterraneo. Scenario diverso per l’altro gruppo di 16 uomini uccisi con un colpo alla nuca. Impossibile per ora determinare la causa e le circostanze della cattura di queste vittime, né chi siano esattamente gli ostaggi assassinati ma una didascalia nel video dice che sono stati «colpiti i seguaci della nemica chiesa etiope». Il capo dei boia dell’Is che parla ha, stavolta, l’accento americano. Vestito di nero, con il passamontagna e la pistola, che presto farà fuoco, in mano. Minaccia tutti i cristiani perché «L’Is vi troverà ovunque anche nelle vostre fortezze,. .. ucciderà gli uomini e renderà schiavi donne e bambini», a meno che non si convertano all’Islam o paghino il “pizzo”, la Jirzya, una tradizionale imposta religiosa, una “compensazione” che deve pagare ogni non musulmano. Seguono immagini di papa Ratzinger, chiese e simboli cristiani distrutte nei territori — in Iraq e Siria — controllati dal Califfato. «Siamo tornati», annuncia il boia, «e il nostro sangue non è a buon mercato».
I 28 somali assassinati — potrebbero essere lavoratori rimasti bloccati nel caos libico o migranti in cerca di un imbarco per l’Europa — non sono le prime vittime cristiane della macchina di morte dell’Is in Libia: lo scorso febbraio altri 21 egiziani copti erano stati decapitati con lo stesso macabro rituale. Uccisioni che avevano spinto il presidente egiziano Abdel Fattah al Sisi ad ordinare raid aerei contro obiettivi dello Stato Islamico in Libia. L’attività del ramo libico del Califfato è in crescita e ha rivendicato numerosi attacchi di alto profilo quest’anno, tra cui l’assalto all’Hotel Corinthia a Tripoli. Non è chiaro quanti siano i miliziani che si battono sotto le bandiere nere dell’Is nelle sabbie libiche, anche se il Dipartimento di Stato Usa li aveva stimati in un numero oscillante tra mille e 3 mila combattenti. Ma ufficiali della sicurezza del Cairo stimano anche che migliaia di miliziani egiziani che condividono l’ideologia dell’Is si siano spostati dalla Penisola del Sinai in Libia dopo il “colpo” dei militari che ha rovesciato il presidente Mohammed Morsi e messo fine al breve potere della Fratellanza musulmana in Egitto nel 2013.
Uno spiraglio sulla disastrosa situazione libica è venuto ieri sera da Bernardino Leon che, per conto delle Nazioni Unite, sta cercando una mediazione fra le varie milizie libiche che hanno raggiunto una bozza di intesa che è «molto vicina a un accordo finale». Nella città marocchina di Skhirat, alla fine dell’ultimo ciclo di negoziati tra le fazioni, Leon ha spiegato che sono in corso i preparativi affinché i gruppi armati abbiano colloqui diretti. «Posso dire che ora abbiamo una bozza che assomiglia a qualcosa di molto vicino a un accordo finale », ha annunciato Leon, «l’ottanta per cento del testo in questa bozza è qualcosa su cui le parti possono concordare». Non sarà semplice, ogni intesa avrà bisogno dell’approvazione dei combattenti sul terreno.

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