domenica 19 aprile 2015

Addio a Pirani, cronista «artigiano». 
Narrò un’era di ragionevoli illusioni.


Corriere della Sera 19/04/15
Paolo Franchi
Mario Pirani se ne è andato ieri, sulla soglia dei novant’anni. Fino all’ultimo, con la sua rubrica del lunedì su Repubblica , è rimasto sulla breccia del giornalismo. Di un giornalismo — si trattasse di economia, di politica o, come negli ultimi tempi, di scuola, di sanità, di lavoro — serio, documentato, attento in primo luogo ai lettori, per sua natura alieno tanto dalla banalità e dai luoghi comuni quanto dagli effetti speciali delle «belle penne» di vecchio e nuovo conio, che gli sembravano reperti di un provincialismo pressappochista duro a morire, e da noi probabilmente inestinguibile. Un bravo giornalista, sosteneva, «è tenuto a raccontare le cose almeno rispettando quella che a noi sembra la verità, sperando di cogliere nel segno o almeno di andarci vicino». Può dunque paragonarsi, aggiungeva, non a un artista, ma «a un bravo artigiano»; e deve dunque sapere, proprio come lo sanno gli artigiani, «che le sue opere non sono destinate ai musei». E tutto questo non toglie nulla — anzi — all’importanza del suo lavoro.

Lo credeva davvero? Giurerei di sì, ma certo non nel senso dei caporedattori di una volta, quando, alle viste del concitato impegno giovanile con cui ancora all’ora fatidica della chiusura in redazione tagliavamo, arricchivamo, limavamo il nostro pezzo, ci ricordavano bruscamente che a mezzogiorno dell’indomani il giornale sarebbe stato buono per incartare il pesce. A quello che scrivevano i giornali, e forse ancora di più a quello che capitava nelle redazioni, Pirani era attento, come si conveniva a uno con la sua storia nella carta stampata, dall ’Unità al Giorno , dal Globo a Repubblica , dalla breve esperienza alla guida dell’ Europeo al «ritorno a casa», auspice un Eugenio Scalfari al pianoforte in una serata al Little Bar, nel quotidiano di cui era stato, nel 1975, tra i soci fondatori.

Ma la carta stampata è stata parte fondamentale della sua vita, non tutta la sua vita. E per capirlo basta tornare a scorrere la bella autobiografia, «Poteva andare peggio», pubblicata cinque anni fa da Mondadori, in cui Pirani dà conto di un lungo viaggio attraverso ottant’anni di vicende italiane: le «ragionevoli illusioni» di cui lì si parla certo non sono state soltanto, né soprattutto, quelle di un giornalista-artigiano.

Sì, poteva andare peggio, molto peggio, a questo Paese. E naturalmente anche a Pirani. Chiedo scusa dell’autocitazione. Ma mi capitò, scrivendone sul Corriere , di esprimere una sincera punta d’invidia per una vita come quella raccontata nel libro. Una dorata, o quasi, infanzia borghese. La persecuzione razziale che mette in pericolo la sopravvivenza stessa di Mario e della sua famiglia. L’incontro con il Partito comunista, di cui sarà a lungo «funzionario», anche nella commissione di organizzazione guidata da Pietro Secchia, per tanti il fulcro di un apparato clandestino, per lui uno dei luoghi del partito in cui la riflessione era più approfondita e il confronto democratico più aperto. Il lavoro all’ Unità . Il distacco dal Pci, cinque anni dopo «l’indimenticabile 1956».

L’approdo, alla vigilia della vittoria della rivoluzione algerina, all’Eni di Enrico Mattei, per entrare a far parte, con un ruolo importante, della sua «diplomazia parallela», nel mondo arabo e non solo, in qualità di «agente quasi segreto». E lungo tutto questo, si capisce, molti amori e un’infinità di incontri, da un capo all’altro del mondo, con personaggi noti e meno noti, ma tutti, ciascuno a suo modo, straordinari, compreso Ernesto Che Guevara, conosciuto in aereo nei cieli dell’Africa nel 1965, al quale, in tempi in cui (per dire) «il potere a Zanzibar era in mano a un gruppo filo cinese», rappresentò la funzione antimperialista della Compañia italiana de la gasolina de Estado...

Realista di quel realismo che i meno intelligenti giudicano cinico, attento ai cambiamenti di una politica e di un’economia di cui conosceva da vicino i potenti e i segreti, anche di tutto questo Pirani amava parlare con intelligenza, spirito e discrezione. Senza nostalgie, con l’aria dissacrante di chi la vita la ha vissuta e sa che il passato ha parecchio da spartire con il presente e pure con il futuro. Ma, rinnegando in fondo, pur dopo la caduta di ogni certezza, solo la parte a dir poco irragionevole delle «ragionevoli illusioni» di un tempo, seppure nel particolarissimo spirito (oggi impensabile, un tempo diffuso) del militante comunista italiano che, sbarcato a Marsiglia au retour de Moscou , si scoprì così nostalgico «degli aspetti meno commendevoli del capitalismo» da concedersi un paio di giorni a Montecarlo, assieme al pur serissimo Beppe Chiarante, per «disintossicarsi» da due settimane di «socialismo reale».

Lo ha detto benissimo Giorgio Napolitano, suo vecchio amico di «un’amicizia resistente a ogni difficoltà o momentanea incomprensione», in quello che è forse il più sentito, e non solo per motivi generazionali, tra i tanti messaggi di cordoglio: «Coerenza e onestà intellettuale» sono il segno indelebile che Pirani ci lascia. Ci mancherai, mi mancherai, caro Mario.

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