domenica 19 aprile 2015

Ma il premier non esclude di azzerare 
la norma E dialoga sulle competenze.


Corriere della Sera 19/04/15
Maria Teresa Meli
Matteo Renzi considera l’Italicum una «partita chiusa»: «Toccare la riforma elettorale? — confida ai collaboratori — nemmeno morto, neanche la sfioro». E non ha intenzione di usare il ddl costituzionale come merce di scambio: «Non è che siccome la minoranza ce lo chiede noi eseguiamo», è il ritornello che il premier ripete ai fedelissimi.

Però non è intenzione del presidente del Consiglio infierire sugli oppositori interni, né, dice, «è mio interesse dividerli». Anche perché «sono già spaccati» e i renziani prevedono che queste lacerazioni emergeranno nell’assemblea della minoranza, mercoledì prossimo.

Insomma, il segretario del Pd non vuole andare alla guerra interna, nonostante Bersani continui a polemizzare con lui: «Non so dove Pier Luigi voglia andare a parare, ma vedo che in molti nella minoranza non intendono seguirlo. In realtà dopo l’assemblea dei deputati, che si è chiusa con una rottura, si è riaperto il dialogo tra noi e loro», ha spiegato Renzi ai suoi.

Ma la decisione di non usare la riforma costituzionale come merce di scambio per l’approvazione dell’Italicum a Montecitorio, confermata dalla possibilità, che a palazzo Chigi viene data quasi per scontata, di porre la fiducia per ogni articolo del provvedimento che prevede la modifica del sistema elettorale, non significa che il ddl Boschi sia intoccabile. Anzi. Già a febbraio, il premier non escludeva questa eventualità: «Se al Senato non ci saranno i numeri, la riforma costituzionale potrebbe essere cambiata ancora». E ormai che si è in aprile inoltrato la situazione è la stessa. Con una differenza. Al di là delle dichiarazioni ufficiali e delle prese di posizione pubbliche, l’azzeramento dell’articolo due di quel disegno di legge sull’elezione dei senatori (e, di conseguenza, del provvedimento) è un’ipotesi ancora sul tavolo. Servirebbe a rassicurare i parlamentari, per dimostrare loro che non è vero che il premier punta dritto verso le elezioni anticipate. Timore che hanno in molti nella minoranza del Partito democratico, come confidava l’altro giorno il presidente della commissione Bilancio di Montecitorio Francesco Boccia: «Matteo, in realtà, vuole solo portare a casa l’Italicum per poi andare alle urne a ottobre o, al massimo, a maggio del prossimo anno». Non solo, una mossa del genere servirebbe a rassicurare anche gli alleati più importanti, quelli del Nuovo centrodestra, che, con il meccanismo previsto dall’attuale riforma costituzionale, rischierebbero di non avere nemmeno un rappresentante a palazzo Madama. Già, perché questo ddl, in realtà, conviene quasi esclusivamente al Pd.

Ma, appunto, si tratta solo di un’ipotesi e non è affatto detto che alla fine Renzi propenda per questa strada. Come è solito fare, il premier deciderà all’ultimo, dopo aver valutato attentamente i pro e i contro e, soprattutto, dopo aver visto quali sono gli effettivi numeri a Palazzo Madama, dove non si escludono nuovi smottamenti nel gruppo di Forza Italia e in quello del Movimento 5 stelle.

L’altra ipotesi, che viene data attualmente per la più probabile, è quella che invece prevede aggiustamenti che non costringano a ripartire da zero. Il che significa modificare le parti della riforma che non sono già passate in maniera conforme in prima lettura sia alla Camera che al Senato. I punti su cui si potrebbe lavorare sono il titolo V della Costituzione, le competenze dei due rami del Parlamento e il percorso legislativo tra Camera e Senato (questo è il punto che definisce il ruolo del nuovo Senato). Inoltre, si potrà lavorare anche sui meccanismi della legge attuativa che andrà varata per eleggere il Senato nella sua nuova versione.

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