venerdì 24 aprile 2015

GIOVANNI MORTO QUATTRO VOLTE.


Corriere della Sera 24/04/15
Beppe Severgnini
Giovanni Lo Porto è morto quattro volte. Quando è stato rapito, quando è stato dimenticato, quando è stato colpito, quando la notizia della sua uccisione è stata nascosta. Per quattro mesi, non per quarantotto ore in attesa di verifiche.

La pubblica ammissione del presidente Obama — straordinaria per il contenuto, irrituale per il tono — tempera, in parte, l’amarezza? Forse. Ma non cancella l’orrore né lo stupore.

Guido Olimpio e Paolo Valentino, sul Corriere , spiegano cosa è probabilmente accaduto. L’operazione è stata condotta dai droni e si è basata sulle informazioni raccolte nell’area tribale pachistana. Secondo la ricostruzione ufficiale, l’intelligence Usa non ha mai saputo della presenza degli ostaggi nell’edificio usato dai qaedisti. Mancanza di informazioni: è accaduto altre volte in Afghanistan, in Yemen e in Pakistan. E così due innocenti sono stati spazzati via, insieme ai loro aguzzini.

Lo sappiamo, ma è bene ricordarlo. In molte parti del mondo l’altruismo è diventato un rischio letale. Fare il proprio mestiere, una provocazione inaccettabile, per gli umanoidi del terrore. E quando la morte arriva, non siamo più capaci di ammetterla, di raccontarla, di onorarla.

Ci sono voluti centoventi giorni per
sapere che il 38enne italiano era stato
ucciso dai droni,
insieme a un ostaggio americano, Warren Weinstein.

Ma questa è, davvero,
 solo una delle morti di
un giovane siciliano
generoso. Il suo rapimento
è avvenuto tre anni fa.
Se ne è parlato, certo,
c’è stata una campagna
per liberarlo. L’unità di
crisi della Farnesina ha
fatto il possibile ed è stata vicina alla famiglia. I giornali, compreso il Corriere , si
sono occupati del caso. Ma
diciamo la verità: quanti
conoscevano il nome e
la storia di Giovanni Lo Porto?
Quanti hanno speso un
pensiero, due parole in
pubblico, una ricerca su
Google?

Volontari, cooperanti,
 anche giornalisti: fino
all’avvento di Al Qaeda
e Isis, tutti costoro hanno
goduto di una condizione
ufficiosa di neutralità,
anche nei conflitti più cruenti. Oggi, dall’Afghanistan
all’Atlantico, sono diventati bersagli. Perché l’orrore dei nuovi mostri islamisti è anche vigliacco: se la prende con
chi non può — anzi, non vuole — difendersi. E diventa così un obiettivo: remunerativo, vulnerabile, facile. L’elenco
è lungo e tocca molti Paesi. Alcuni tra i nostri
connazionali sono tornati, come Domenico Quirico,
Greta e Vanessa, Rossella
Urru. Altri, come Giovanni Lo Porto, non torneranno.

Smettiamola di dire — o di pensare, e non è meno grave — che queste persone «se la sono andata a cercare». Non è vero. Cercavano di vivere dignitosamente, non di morire malamente. Conoscevano i rischi, certo. Giovanni Lo Porto non aveva bisogno delle 
attenuanti dell’incoscienza
o dell’entusiasmo, come
le due ragazze lombarde
liberate in gennaio. Era un professionista del settore:
aveva alle spalle missioni
in Centroafrica, Haiti, 
Pakistan. Un professionista che ha pagato per il suo
servizio agli altri. Ed è stato ucciso.

Ucciso — ripetiamolo — più volte: dalla ferocia disumana dei rapitori, dalla nostra distrazione, da una bomba dal cielo, dal segreto militare.

Un’assurdità progressiva, un orrore a puntate. Il riassunto di anni forsennati che ancora non capiamo del tutto. Forse è meglio così: ci farebbero troppa paura.

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