Sel è ormai a un passo dalla scissione, stretta fra Renzi e Grillo.
Ma sono sconfitti tutti, nonostante il successo alle Europee. Per
Vendola è il momento di decidere, il lessico immaginifico non basta più.
La dinamica che s’è messa in moto dentro Sinistra e libertà è
facilmente riconoscibile, molto tipica: quando nei partiti o partitini
di sinistra ci si divide come fa oggi Sel, l’esito è al 99 per cento la
scissione. Oltre le divergenze politiche si intuiscono rotture
personali, che poi sono quelle davvero irrecuperabili dentro gruppi
ristretti.
In questo momento dentro Sel sono tutti sconfitti, effetto
paradossale del superamento dello sbarramento alle elezioni europee.
Sconfitti quelli che puntavano a fare in Europa l’ala sinistra del
partito socialista. Sconfitti quelli che speravano di farsi trainare
dagli intellettuali azionisti, e ne sono stati scaricati col sovrappiù
dell’insolenza. Sconfitto Vendola, che fino a due anni fa era l’astro
più luminoso del firmamento politico, fenomeno d’immagine e di costume,
serio candidato a guidare l’intero centrosinistra.
Ricordiamo la stagione dei sindaci, da Pisapia a Zedda a Doria, e dei
referendum su acqua e nucleare, quando il tema di moda era il Pd
all’affannosa rincorsa, subalterno a movimentismi e radicalismi.
Oggi tutto pare rovesciato. L’alternativa per il ceto politico di Sel
è fra entrare subito nella maggioranza renziana, magari nello stesso
Pd, oppure tenersi nelle vicinanze in attesa di contrattare un’alleanza
elettorale comunque da posizioni di debolezza. In ogni caso viene meno
il ruolo immaginato da Vendola che piaceva anche nel Pd di Bersani: Sel
come bacino di contenimento dei voti più “di sinistra”, per trattenerli
nell’area di governo.
Le cose non funzionano più così, ammesso che abbiano mai funzionato così.
Nella mobilità delle opinioni e del consenso, nel rapido emergere e
tramontare di singole figure tipico della personalizzazione della
politica, nell’estremizzazione della rivolta anticasta, chi s’attarda
lungo l’asse “destra-centro-sinistra-più sinistra” viene spazzato via.
Dagli intellettuali alla moda, dalla sovraeccitazione di Grillo, dallo
stesso trasversalismo di Renzi. Le coordinate culturali classiche sono
travolte: si esce dal berlusconismo leggendo il Fatto, non il manifesto.
I no-Tav sono nelle piazze a Cinquestelle, Landini fa sponda con la
rottamazione. È ormai il momento di decidersi, il lessico immaginifico
non aiuta più: o si gioca ancora con il radicalismo antisistema,
venendone risucchiati, o si ci si spende in pieno nella partita del
governo e delle riforme. Qui la terza via davvero non c’è.
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