Corriere della Sera 21/06/14
Partiamo dal discorso che papa
Francesco ha tenuto il 19 maggio ai vescovi italiani. Il lungo elenco
di rischi e tentazioni cui è esposto il vescovo fa venire in mente
il testo di Rosmini «Delle cinque piaghe della Santa Chiesa».
Nunzio Galantino*, come ha ascoltato da vescovo e neo-segretario della
Cei le parole del Papa?
«Rosmini è una mia passione, che mi ha
portato ad approfondirne il pensiero: non posso, quindi, che
sottoscrivere questa sua lettura in filigrana del discorso papale
alla luce di quanto l’abate roveretano aveva già anticipato
lucidamente nei suoi scritti. In effetti “le piaghe della Chiesa”
mostrano che alla loro origine c’è lo smarrimento dell’unità —
dell’unione, dice esattamente Rosmini — cui segue il dilagare
della divisione ai vari livelli: il popolo è diviso dal clero nel
pubblico culto (I piaga); i preti, lontani dal vescovo, finiscono con
il ricevere una “insufficiente educazione” (II piaga); la
“disunione de’ vescovi, dimentichi della fraternità”, rende
meno efficace l’azione pastorale (III piaga); la frattura interna
alla Chiesa, dovuta alla nomina dei vescovi abbandonata al potere
laicale, accentua il disagio tra i fedeli (IV piaga); la “servitù
dei beni ecclesiastici” allontana dal modello della primitiva
comunità cristiana (V piaga). Quel catalogo oggi può essere
rinominato così: rinnovamento liturgico; formazione del clero e dei
laici (fine del clericalismo); comunione tra i vescovi e sinodalità;
nomina dei vescovi; povertà della Chiesa. Il “vescovo era il primo
fra i poveri” — scrive Rosmini — mentre i poveri sono “il
corpo sacro dato in tutela della Chiesa”».
C’è come un
paradosso in un Papa che nel momento in cui chiede ai vescovi
italiani di essere più autonomi, più liberi, cioè più
responsabili, li fa oggetto di un richiamo così forte.
«Nessun
paradosso. Il Papa richiama all’unità e al rinnovamento. La strada
per il recupero dell’unione all’interno della Chiesa e, quindi,
di una sua autentica riforma passa per il ristabilimento della
libertà ai diversi livelli. Francesco proclama con forza che la
Chiesa nel suo insieme e nelle sue singole espressioni non ha bisogno
di protezioni, di garanzie, di sicurezze, di mondanità, di posizioni
di potere: ha bisogno di libertà. Credo che papa Francesco abbia
indirizzato tutti i vescovi a una maggiore libertà, che si traduce
concretamente in una più forte corresponsabilità che è l’obiettivo
ultimo che egli intende perseguire».
Occorre riconoscere a papa
Francesco una grande capacità di linguaggio. Ma quando afferma:
«Quant’è vuoto il cielo di chi è ossessionato da se stesso…»,
ci troviamo di fronte a una affermazione dirimente su un piano
teologico ed ecclesiologico.
«Quell’esclamazione è al centro
di una sequenza di rischi enumerati dal Papa, che prosegue così: “E,
poi, il ripiegamento che va a cercare nelle forme del passato le
sicurezze perdute”. Il Papa ci mette in guardia dai rischi di una
Chiesa ripiegata sul proprio interno; autoreferenziale, che
ossessionata da se stessa rischia di perdere di vista la propria
finalità e la propria identità. È come se dicesse: solo nella
fedeltà e coerenza all’evento originario della Chiesa — la
storia di Gesù — c’è la possibilità per la Chiesa stessa di
corrispondere alle necessità della storia degli uomini».
Vi
sono situazioni in cui sussiste, senza ragioni, un anticlericalismo
storico; non crede, però, che il male maggiore della Chiesa sia oggi
il clericalismo?
«Per affrontare correttamente il tema
dell’adeguata partecipazione dei laici, uomini e donne, alla vita
della Chiesa dobbiamo affrontare di converso anche il tema del
clericalismo diffuso nella Chiesa. Prima che un cattivo comportamento
(una libido dominandi ), il clericalismo è un errore teorico,
propriamente da ricondurre alla teoria delle “due città” con la
quale si definisce che i cristiani (preti e laici) abbiano una loro
città da imporre agli altri uomini, mentre in realtà essi vivono
nella città comune. Il clericalismo è spesso espressione della
volontà di potere, mentre la Chiesa “popolo di Dio”, come l’ha
definita la Lumen gentium , si caratterizza per la responsabilità
nell’esercizio della carità e porta, conseguentemente, con sé la
negazione della volontà di potere, che si esprime attraverso le
varie forme di clericalismo. Quando questa presa di coscienza sarà
piena, solo allora avremo un vero e proprio cambio d’epoca nella
Chiesa».
Si sono consumate e compiute molte stagioni nella
vicenda storica della Chiesa italiana. Non c’è più la Dc e anche
la risposta elaborata dai vescovi nel 1994, il «progetto culturale»,
mi sembra concluso. E tuttavia come immaginare oggi il rapporto tra i
cattolici italiani e il Paese?
La fine della Dc ha comportato
anche la fine dell’unità politica dei cattolici che era stata la
via privilegiata, anche se non esclusiva, della loro partecipazione
alla vita democratica del nostro Paese. Il bipolarismo, così come è
stato realizzato sul piano istituzionale e su quello politico, ha in
seguito finito per produrre l’effetto di due posizioni politiche in
cerca del voto cattolico, ciascuna facendosi più o meno utilmente
garante di un pacchetto di valori, ma senza integrare dentro la
propria prospettiva l’apporto del personalismo cristiano. È
mancato un vero confronto tra i cattolici stessi e tra essi e le
altre culture sulle nuove questioni della democrazia: dalle nuove
scienze e le loro conseguenze pratiche, alle nuove emergenze sociali.
Di fatto il rischio è stato quello di vedere gli stessi cattolici
semplicemente dividersi nel momento elettorale, in nome della parte
politica scelta, senza mai trovare momenti di convergenza sulle
premesse della comune ispirazione ideale. Alla responsabilità dei
laici cattolici — che va incoraggiata, rinnovata e nuovamente
educata — deve corrispondere una salutare precauzionale presa di
distanza diretta dell’istituzione ecclesiastica dal potere
politico.
Mi auguro che cresca nuovamente la vocazione e la
capacità di partecipazione dei cattolici italiani alla vita pubblica
in tutte le sue forme e dimensioni, con un impegno personale ispirato
dalla gratuità, privo di interessi per ritorni personali. In questo
momento, a mio parere, bisogna vigilare perché lo spazio che si è
aperto e il desiderio di partecipazione dei cattolici non vengano
coperti e catturati, soprattutto in sede locale, da nuovi
faccendieri. I trasformisti e i replicanti, figli della mediocrità,
non mancano nemmeno oggi. Anche qualche ecclesiastico può essere
tentato di dare vita a liste e soggetti politici locali. È una
cattiva strada».
* direttore della rivista
«Il Regno»
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