Corriere della Sera 27/06/14
Chi ottimisticamente non credeva che al
Consiglio superiore della magistratura(Csm) una settimana fa potesse
davvero «finire così», cioè a tarallucci e vino sullo scontro
senza precedenti tra capo e vice alla Procura di Milano, dopo la
pilatesca non-scelta del Csm ora non può credere che possa
«continuare così»: cioè a piatti in testa ogni giorno, a colpi di
circolari di Bruti Liberati che svuotano Robledo e di nuovi esposti
al Csm di Robledo contro Bruti Liberati, per la gioia degli indagati
(sinora nelle inchieste Sea, Expo e firme false) che si tuffano nelle
contraddizioni regalate loro.
A parziale discarico dei pubblici
ministeri milanesi va però osservato che il silenzio imbarazzato
dell’intera categoria dei magistrati e l’impasse dei propri
meccanismi di controllo sembrano stare facendo di tutto per
disorientare i cittadini, intaccare un ventennale capitale di
credibilità nella Procura italiana faro di indipendenza e capacità,
indebolire la profondità delle indagini, e rendersi incomprensibili
agli operatori stranieri che guardano a Expo 2015.
Da tre mesi i
magistrati, di solito sensibili alle minacce alla propria
indipendenza sia esterna sia interna, mettono la testa sotto la
sabbia per fingere di non vedere quanto sia cruciale sciogliere il
nodo dei poteri e doveri dei capi degli uffici giudiziari alla luce
dei frutti avvelenati della gerarchizzazione delle Procure in base
alle norme del 2006/2007. Le correnti, concentrate invece sulle
elezioni per il rinnovo del Csm il 6 e 7 luglio, non fanno che
strumentalizzare l’appoggio a priori a Bruti o a Robledo solo per
contrapposti interessi di bottega. Fino al punto che al fondamentale
autogoverno della magistratura abdica proprio chi dentro
l’istituzione Csm, invece di incarnarlo, o non si è trattenuto
dall’invocare l’interferenza esterna di una ispezione del
ministero della Giustizia (dove è sottosegretario il capocorrente di
chi la chiedeva pro-Robledo), o ha chinato il capo all’inopportuna
anticipazione di giudizio pro-Bruti palesata a mezzo stampa dal
vicepresidente Vietti dopo un incontro con il capo dello Stato. Così
come i primi a svalutare le conclusioni proposte dalle due
commissioni sono stati proprio i relatori che le avevano vergate,
precipitatisi a ritirarle e a depennare talune flebili critiche a
Bruti appena diffusasi la notizia dell’esistenza di una misteriosa
missiva del presidente della Repubblica a Vietti: lettera di cui un
uso improprio e ambiguo è stato consentito dal rifiuto di Vietti di
leggerla ai consiglieri del Csm perché «allo stato non
ostensibile».
Ora questo Csm sta per scadere, il prossimo sarà
operativo solo dopo l’estate, e anche il procuratore generale della
Cassazione annuncia che su eventuali rilievi disciplinari deciderà
nulla sino a settembre. Tutti continuano a non avere fretta, magari
coltivando il retropensiero che tanto, a sciogliere la convivenza
forzata tra Bruti e Robledo, arrivi il pensionamento anticipato del
quasi settantenne Bruti ben prima dei prossimi 4 anni di dirigenza: o
a dicembre 2015 con la deroga accreditata dall’interpretazione del
Csm, o già a ottobre 2014 senza deroga secondo il criterio adottato
dalla Ragioneria dello Stato per calcolare gli oneri della norma. Ma
con la quotidianità di indagini delicate che non possono aspettare
Godot, e con in ballo il destino di Expo 2015, sarà una pericolosa
illusione delegare solo al tempo che passa quella parola chiara
sinora non pronunciata dalle istituzioni preposte a dirla.
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