Grillo e Casaleggio abbandonano il mito del 100 per cento, virano
sulla manovra tattica, pensano di mettere in imbarazzo il Pd. Linea
troppo fragile, Renzi ha altre priorità e nessuna paura di andare avanti
con Berlusconi (se Berlusconi regge).
Non si andrà lontano, con questo improvviso dialogo tra Pd e
Cinquestelle sulla legge elettorale. Per molti motivi. E fa bene chi già
si interroga su chi si avvantaggerà al momento della rottura, al
momento di scaricare sull’altro la responsabilità di una
incomunicabilità che in realtà è la costante della legislatura e forse è
nella natura di queste due forze politiche.
Il primo e più importante motivo è nello scarto fra le priorità
dell’uno e dell’altro. Grillo e Casaleggio cercano un incontro sulla
legge elettorale (dopo essersi battuti per votare col sistema uscito
dalla Consulta: ma qui non insisteremo sulla contradditorietà delle
mosse grilline, non basterebbe una pagina intera); il Pd, a torto o a
ragione, si sente a un passo dall’incassare al senato la fine del
bicameralismo. Il sistema elettorale è importante (rimane sempre il
discorso della pistola scarica delle elezioni anticipate nelle mani del
presidente del consiglio), ma meno urgente di quanto fosse mesi fa.
In secondo luogo c’è il merito. Per avvicinarsi alla visione
maggioritaria e bipolare alla quale Renzi ha legato la propria missione,
M5S dovrebbe discostarsi davvero tanto dal complesso sistema
proporzionale che ha elaborato in casa. Va bene che improvvisamente la
flessibilità pare essere diventata una dote dei luogotenenti di Grillo
(in attesa dell’effetto che questo farà alla base grillina), ma le
distanze sono notevoli.
Infine c’è la motivazione della svolta. Cinquestelle negli ultimi
giorni s’è guardata dentro, la sua mossa è prevalentemente figlia di una
crisi strategica: finisce il mito della conquista del 100 per cento, lo
si sostituisce con la manovra tattica. E nella tattica è compresa –
esplicitamente – l’intenzione di staccare Renzi da Berlusconi, o di
metterlo in difficoltà sul tema di questa scomoda alleanza. Lo stesso
argomento subito raccolto nel Pd dalla minoranza di Civati.
Ma Renzi ha già dato innumerevoli prove di non considerare l’accordo
del Nazareno un prezzo da pagare. Né gli elettori gli hanno presentato
il conto, come invece prevedevano i sedicenti interpreti del vero
sentimento di sinistra. Sicché, finché Berlusconi tiene sull’intesa, il
Pd non ha motivo di mollarlo (confortato dall’opinione del capo dello
stato). La debolezza della tardiva svolta di Grillo è proprio qui: che
candida il M5S a un ruolo aggiuntivo, non certo sostitutivo. Ecco
perché, facile pronostico, la trovata a cinque stelle non durerà a
lungo.
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