Le mappe I cittadini sono ormai
abituati a scegliere direttamente le persone. Per questo il premier
deve spingere i democrat a riformarsi, dando spazio a sindaci e
amministratori locali
ILVO DIAMANTI
La Repubblica 10 giugno 2014
CHI ha vinto queste elezioni?
Il Pd o il PdR? Il Partito Democratico
o il Partito di Renzi? È il quesito che echeggia, all’indomani dei
ballottaggi delle amministrative, appena conclusi. Ultimo atto della
competizione elettorale, cominciata due settimane fa, con le elezioni
europee e il primo turno delle amministrative. Le europee, infatti,
hanno fornito un risultato inequivocabile.
EHANNO offerto, al tempo stesso, una
chiave di lettura che ha condizionato quel che è avvenuto dopo. Fino
al risultato di ieri. Con la tentazione, paradossale, di
interpretarlo tutto in chiave interna. Ponendo Renzi di fronte – e,
in alcuni casi, contro – il suo partito. D’altronde, l’esito
del voto amministrativo e, in particolare, dei ballottaggi, tende ad
essere riassunto in alcuni “casi”, di particolare importanza
simbolica. Livorno, Urbino, Perugia, Riccione: città storicamente
“rosse”, dove il Centrosinistra ha perso. Come a Padova, dove
governava da
dieci anni.
Peraltro, in termini percentuali, il
confronto fra il voto al PdR e il PD, nelle città dove si votava, ha
mostrato una chiara prevalenza del primo. Non per caso, il PD alle
europee ha ottenuto più che alle amministrative. Circa 6 punti in
più (ha stimato l’Istituto Cattaneo), mentre in passato avveniva
il contrario. Da ciò la conclusione: la “ditta”, per citare la
formula utilizzata da Bersani nel corso della campagna elettorale del
2013, conta molto meno dell’imprenditore (politico). Il PD, senza
Renzi, diventa molto meno competitivo e per questo, a livello locale,
fatica. Perde colpi. Perfino nei suoi luoghi sacri. Nei suoi
territori protetti.
Personalmente, credo che occorra usare
prudenza, nel proporre questa chiave di lettura. Perché, il grande
risultato del PdR non permette di interpretare il bilancio di queste
elezioni amministrative come un insuccesso del PD. Certo, i “casi
esemplari” suscitano interesse. Ma vanno inseriti nello scenario
generale. E i dati complessivi delle amministrative sottolineano una
crescita ampia e sostanziosa del centrosinistra e del PD, che ne è,
dovunque, il riferimento.
Nei capoluoghi di provincia dove si è
votato per il Sindaco, infatti, prima di queste elezioni, il PD e il
Centrosinistra amministravano 16 comuni. Oggi 20.
Nei Comuni con oltre 15 mila abitanti,
la tendenza si conferma in modo anche più esplicito. I sindaci del
PD e del Centrosinistra, prima del voto, erano 128. Oggi sono saliti
a oltre 160. Eletti, soprattutto, a spese del Centrodestra (oltre
50), che esce molto ridimensionato. Prima del voto, aveva quasi 90
sindaci. Oggi gliene restano 43. Meno della metà.
Questa distinzione, peraltro,
suggerisce un primo cambiamento. Nel passato, infatti, il
Centrosinistra era più forte – e governava – soprattutto nei
Comuni più grandi e, dunque, nei capoluoghi. Oggi non è più così.
È più forte in provincia. Ciò si spiega, fra l’altro, con la
concorrenza – accesa – imposta, soprattutto nei contesti urbani,
da altri attori politici e da altre liste. Dal M5s, ma anche da liste
e comitati espressi nell’ambito della Sinistra. Sorti, non di rado,
dall’interno e dall’intorno dello stesso PD. In nome del
cambiamento, della rottura con il passato. Ma anche in seguito a
frazionismi e divisioni (fra pro e anti-renziani).
Inoltre, se osserviamo la geografia
politica e amministrativa di questo voto, emerge una tendenza
coerente con la “nazionalizzazione” del Centrosinistra, prodotta
dall’irruzione di Renzi. Il quale pare aver “trascinato” il PD
anche su base locale. In altri termini, il Centrosinistra e il PD
sembrano usciti dal recinto delle zone rosse, dove pure hanno
aumentato il numero dei sindaci: da 77 a 82. Ma, soprattutto, hanno
allargato, anzi: raddoppiato, la loro presenza nei governi locali del
Nord “padano”. Dove i sindaci del PD sono passati da 24 a 58.
La sua principale zona di debolezza
rimane, invece, come in passato, il Mezzogiorno. Dove è cresciuta la
presenza del M5s e, ancor più, di liste civiche e locali.
Il PdR, dunque, ha conquistato
l’Italia, perché ha superato i confini storici del PD. Ma il PD
stesso, a sua volta, si è diffuso nella Provincia del Nord ma anche
del Centro. Dove il peso degli apparati conta meno delle persone.
Anzi, si identifica con loro. Con i sindaci. Perché questo è
avvenuto, negli ultimi anni. La fine dei partiti di apparato.
Rimpiazzati, sempre più, dalle persone. E questo cambiamento è
stato trascinato, in primo luogo, proprio dall’elezione diretta dei
sindaci, nel 1993. Da allora, si è verificata una sorta di
presidenzializzazione diffusa. Che ha abituato i cittadini a
confrontarsi direttamente con le persone: candidati, amministratori.
Sindaci. A livello nazionale, questa tendenza è stata stressata da
Berlusconi, che l’ha tradotta, a proprio vantaggio, nella
costruzione del proprio partito “personale”. E mediatico.
Guardato, a sinistra, con sospetto e con disagio. Salvo, poi,
imitarlo, in modo inadeguato e gregario. Fino ad oggi. Quando Matteo
Renzi ha “conquistato” il PD. Partendo da Firenze. Lui, sindaco,
è andato “oltre” il partito. E i suoi limiti. Ma anche il PD,
“deve” cambiare. Per fare fronte ai concorrenti che lo sfidano.
Il M5s, ma non solo. Pena la sconfitta. Com’è avvenuto a Livorno e
a Padova.
D’altronde, i Sindaci oggi stanno
diventando più importanti dei partiti stessi. I quali sono divenuti
soggetti al servizio dei leader. A livello locale. Ma anche
nazionale. Questo, semmai, è il problema del Partito di Renzi. Il
PdR. Non limitarsi a fare “come se il PD non ci fosse”. Ma
spingerlo a riformarsi. Ridimensionando, ancora, lo spazio degli
apparati, a favore di quello dei Sindaci e degli amministratori
locali. Per rafforzare il rapporto diretto e continuo con i
cittadini. (Ma anche i controlli, per evitare le degenerazioni emerse
in questa fase.) Perché le fedeltà politiche, al tempo della
personalizzazione, sono scomparse. E, anche in Italia, oltre metà
degli elettori cambia partito, schieramento, parte politica da
un’elezione all’altra. Mentre il 15% decide se e per chi votare
negli ultimi giorni. Così, ogni elezione è un “salto nel voto”.
Una partita aperta. Che neppure il PdR può immaginare di vincere
senza un PD competitivo.
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