Correggere una scelta sbagliata è stato giusto, e può essere un modello per il futuro
La decisione dell’Usigrai di revocare la propria partecipazione
allo sciopero della Rai proclamato per l’11 giugno è giustissima ma
anche obbligata.
Giustissima perché pone rimedio a quello che a molti – Europa
fra i primi – era parso e pare un grave errore. Innanzi tutto, di
merito. Non insistiamo più di tanto, qui. Basti sottolineare che i
giornalisti hanno compreso che l’obiettivo è quello di affrontare la
vera questione che non è quella dei 150 milioni, ma quella della
trasformazione della Rai. E questo lo si fa con una discussione a un
livello alto: vuoi vedere che è la volta buona per rimettere coi piedi
per terra un tema che era scomparso dall’agenda politica? Non sarebbe
anche questa una prova che siamo davvero entrati nel post-berlusconismo?
Ma l’errore era anche di metodo. Se un sindacato proclama uno
sciopero e in pochi giorni i lavoratori – in questo caso i giornalisti,
intere redazioni – sconfessano la decisione, è evidente che qualcosa non
va. Questo rimanda a un problema di fondo del mondo sindacale (non
certo solo dei giornalisti): come si prendono decisioni in nome e per
conto di lavoratori che in questi anni sono molto cambiati e non firmano
deleghe in bianco a nessuno.
Certo, tutto è bene quel che finisce bene: davanti al rischio di un
errore grave fa premio il fatto che alla fine la scelta sia stata
corretta sulla base di una discussione democratica. Può persino essere
un modello cui attenersi nel futuro. Per l’Usigrai e per tutti i
sindacati.
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