Il nuovo capo dello stato israeliano è indicato da tutti come un
falco: «Ma saprà essere diplomatico», spiega la giornalista Tal
Schneider. La sua elezione è un altro colpo alla leadership del premier
Solo le telecamere sembrano annullare questa distanza. «È una
vittoria del Likud», ha commentato a caldo Netanyahu. «Mi attendo – ha
aggiunto – una cooperazione con il presidente eletto per l’unità del
popolo di Israele». In realtà, fino all’ultimo minuto, il premier
israeliano ha provato ad affossare la candidatura di Rivlin, tentando
perfino di convincere il premio Nobel per la pace e superstite
dell’Olocausto, Elie Wiesel, a candidarsi. «Wiesel è rimasto molto
sorpreso, ma ha subito rifiutato l’offerta dicendosi non preparato per
ricoprire quel ruolo», commenta a Europa Tal Schneider,
giornalista israeliana per tanti anni corrispondente da Washington.
Elie Wiesel, che abita a New York, «non è nemmeno cittadino israeliano.
Netanyahu è stato davvero spregiudicato», aggiunge.
Dietro l’angolo non c’è nessuna crisi di governo, ma di certo «le
acque nel Likud non si calmeranno così facilmente. Gideon Sa’ar,
ministro degli interni, tra i principali artefici dell’elezione di
Rivlin, da oggi si prepara per una nuova sfida: la guida del Likud»,
osserva Schneider.
Per il momento i riflettori restano puntati sul nuovo capo di stato
israeliano, che giurerà il prossimo 24 luglio. Shimon Peres ha chiuso il
suo mandato con la preghiera per la pace a Roma, insieme a papa
Francesco, al presidente palestinese Abu Mazen, e al patriarca di
Costantinopoli, Bartolomeo. Vedremo se Rivlin coglierà questo ramoscello
d’ulivo, anche se di certo in passato non ha mai nascosto di essere
contrario alla creazione di uno stato palestinese. «Rivlin non è
Lieberman. Non è un rude, saprà essere diplomatico. Non cambierà certo
idea sulla Palestina, ma non leggeremo più sui giornali le sue
considerazioni politiche», sostiene Tal Schneider, perché «non competono
al capo dello stato di Israele». In altre parole, non oltrepasserà il
suo ruolo.
«Non appartengo più a un partito», sono in effetti le sue prime
parole. «Sono di tutti gli israeliani: ebrei, arabi, drusi, religiosi e
non religiosi. Non interverrò nelle decisioni della Knesset. I deputati
decideranno della pace e dei confini d’Israele». Quanto a ciò che farà,
Rivlin vuole essere «un ponte fra le opinioni, facilitare il dialogo e
la comprensione». Tutti elementi di cui Netanyahu ha oggi estremo
bisogno. Internazionalmente isolato dopo le aperture degli Stati Uniti,
dell’Onu e dell’Ue (Italia compresa) al nuovo governo di unità nazionale
palestinese, il premier israeliano è confinato in un angolo. Ancora una
volta, o concederà qualche deroga ai propri ideali, o rischierà di
perdere la guida del governo.
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