Pare ormai certo il primo voto che abolisce il senato elettivo. È
un grande successo di Renzi, oltre le aspettative, ma è una riforma
incompleta: non si discute di presidenzialismo, sempre per la paura
dell'uomo forte.
Fare i pignoli sul rispetto del cronoprogramma è sempre
possibile ma alzi la mano chi, escluso Matteo Renzi, pensava che la fine
del senato elettivo concordata nel patto del Nazareno sarebbe stata
davvero votata (e proprio dal senato) prima dell’estate. Se questo
evento si realizzerà, come pare ormai certo, al presidente del consiglio
toccherà riconoscere anche un discreta capacità di visione sulla
possibilità di raggiungere obiettivi improbabili.
Questo pur sapendo che siamo solo alla vigilia del primo di quattro
passaggi parlamentari, perché la prima approvazione è già un dato di
fatto, qualcosa di irreversibile. Senza contare il contorno: le
scissioni in corso potrebbero regalare a Renzi una maggioranza a palazzo
Madama più ampia di quella risicatissima ereditata da Letta e messa a
repentaglio dai dissensi interni al Pd.
Dati tutti questi riconoscimenti, dobbiamo anche ammettere che i
critici hanno ragione su un punto: questa riforma costituzionale, grande
passo avanti, è in effetti parziale. Rodotà e altri lo dicono perché
negano «l’afflato costituente» alle spallate renziane. Brunetta perché, a
tempo scaduto, avrebbe voluto emendare il patto del Nazareno in senso
presidenzialista.
Hanno torto sul piano della politica concreta, ma possono aver ragione su un piano di sistema.
Un confronto su presidenzialismo o semipresidenzialismo avrebbe avuto
legittimità nel contesto di questa riforma. Anche se è Berlusconi a
dirlo in termini polemici, Napolitano per primo non negherebbe che pur
avendo rispettato lui con scrupolo i limiti imposti dalla Costituzione,
nella prassi il ruolo di presidente è cambiato.
Renzi s’è tenuto alla larga dal tema. All’opposto di quanto fece
Berlusconi, l’ha fatto perché si sente troppo forte. E sa che, innanzi
tutto a sinistra, un leader forte che provi a formalizzare nuovi poteri
può solo suscitare sospetti, destare allarme, dare argomenti ai critici:
se lo accusano di svolta autoritaria adesso, figurarsi che cosa
direbbero se si stesse discutendo di premierato o di elezione diretta
del capo dello stato.
Dunque il presidenzialismo rimane in freezer. Lasciando incompleto il
disegno riformatore, e confermando l’equivoco di leadership forti che
per esercitare fino in fondo il mandato popolare devono forzare regole
disegnate sostanzialmente contro di loro, senza che a quel punto ci
siano contrappesi istituzionali adeguati.
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