ANDREA BONANNI
La Repubblica - 29/6/14
L’ex premier e presidente della
Commissione Ue giudica l’esito del Consiglio europeo. “Ora —
dice — la sfida è battere la burocrazia italiana per far camminare
le riforme. E la flessibilità sui parametri va bene, ma non è
decisiva. Deve cambiare l’intera politica del continente. Mai
sentito parlare di Keynes? Lo ha fatto l’America di Obama, lo ha
fatto pure la Cina. L’Europa li imiti, innanzitutto con una
politica che abbassi il cambio euro-dollaro”. “Matteo è più forte ma ora servono
fatti concreti non belle intenzioni”
Ok a Juncker che “saprà scegliere le
priorità” dell’Unione. Critiche a Cameron che “ha preso una
sberla e porta la Gran Bretagna all’isolamento”.
Appello a Renzi perché “dimostri di
avere dietro un Paese forte come si è dimostrato lui sul piano
personale”.
Presidente Prodi, lei conosce bene
Jean-Claude Juncker. Contento della sua designazione a presidente
della Commissione?
«Sì. Lo conosco da molti anni. E’
una persona di grande intelligenza e forse lo statista che meglio
capisce i meccanismi europei. Per questo non riesco a spiegarmi le
critiche inglesi, a meno che non siano una provocazione politica» Ma
il vizio del fumo, e il bicchiere facile: accuse fondate?
«Tutti nella vita possono aver avuto
momenti difficili. In ogni caso si tratta di un passato chiuso da
tempo. E comunque posso testimoniare che la sua lucidità di giudizio
non è mai stata minimamente intaccata. Piuttosto ricordo certe sue
accanite battaglie per difendere gli interessi lussemburghesi sul
segreto bancario e su alcune pratiche finanziarie che non mi erano
piaciute. Sono convinto che ora sceglierà priorità diverse perchè
conosce l’importanza del suo ruolo».
Come sarà l’Europa di Juncker
rispetto a quella di Prodi?
«Dal vertice di venerdì vedo emergere
cambiamenti importanti sia in campo politico sia in campo economico.
Il primo cambiamento, e il più significativo, è che finalmente i
cittadini europei hanno potuto eleggere, sia pure indirettamente, il
presidente della Commissione. Ora sarà più difficile accusare le
istituzioni europee di un deficit democratico. Il secondo dato
politico rilevante è che la Gran Bretagna appare sempre più
isolata. Cameron ha preso una sberla molto dura. Francamente non
riesco a capire il suo atteggiamento. Ha finito per far fare un passo
avanti all’Europa contro la sua volontà. Se avesse evitato di
chiedere il voto su Juncker avrebbe avuto più margini d’azione.
Invece è andato a mettersi da solo in un angolo, e per di più in
compagnia di un estremista come l’ungherese Orban ».
La deriva inglese verso l’uscita
dall’Ue è ormai inevitabile?
«Io non credo che Londra uscirà
dall’Ue, anche se il governo britannico sembra fare di tutto perchè
questa deriva non si fermi. Ma di certo già oggi il Regno Unito
appare sempre più isolato e marginale. Come, del resto, mi sembra
che da questo vertice esca ridimensionato anche il ruolo francese».
E l’Italia? Come esce Renzi dal
primo difficile confronto europeo?
«Renzi esce più forte sul piano
personale. Ora però deve dimostrare di avere dietro di sè un paese
altrettanto forte. E questo è più difficile. I problemi dell’Italia
sono il suo debito più che il suo deficit, e la sua capacità di
mettere in pratica le riforme più che quella di deciderle. I decreti
di attuazione delle molte leggi che sono state varate sono ancora
tutti da fare. E l’Europa, giustamente, guarda ai fatti concreti,
non alle belle intenzioni e neppure alle leggi giuste ma inattuate.
Renzi può aver vinto la battaglia contro i burocraticismi europei
dei vincoli di bilancio, ma deve ancora vincere quella contro la
burocrazia italiana».
E la guerra, neppure tanto
sotterranea, sulla possibile candidatura di Enrico Letta o di
Federica Mogherini?
«Quelle sono questioni di cucina
politica interna al Pd in cui preferisco non entrare».
Ma almeno sui nuovi margini di
flessibilità che il governo dice di aver conquistato in Europa si
può pronunciare?
«La dichiarazione del vertice è più
un atto di buona volontà che una decisione concreta. Quel che ne
seguirà dipenderà soprattutto dal braccio di ferro interno alla
politica tedesca tra falchi del rigore e colombe della crescita. La
Merkel non ha fatto vere concessioni, ma ora anche in Germania
subisce forti pressioni perchè, sul fronte della crescita e
dell’occupazione, pure Berlino comincia ad avere problemi».
E allora come può cambiare la
governance economica?
«Il problema è che oggi non serve
discutere se cambiare i parametri. Renzi fa bene, nell’interesse
dell’Italia, a cercare di guadagnare maggiori margini di
flessibilità per i nostri conti pubblici. Ma, nell’interesse
dell’Europa, quello che deve cambiare è l’intera politica
economica del continente».
E in che senso?
«Mai sentito parlare di Keynes?
L’America ha innescato per prima la crisi, ma con Obama ne è
uscita più in fretta di noi grazie a una pura politica keynesiana.
Lo stesso ha fatto la Cina. Lo stesso deve fare l’Europa.
Certamente le politiche keynesiane si possono applicare solo quando
esiste lo spazio economico per farlo. Ma con una bassa inflazione e
una bilancia commerciale attiva, l’Europa questo spazio ce l’ha e
dovrebbe approfittarne, innanzitutto con una politica che abbassi il
tasso di cambio tra euro e dollaro».
E chi lo dice alla Merkel?
« Oggi ci sono le condizioni per
farlo. Italia, Francia e Spagna in questa fase hanno le stesse
esigenze. E quindi possono premere insieme per una politica economica
diversa. La novità è che ora i socialisti francesi, dopo la batosta
elettorale, hanno assolutamente bisogno di registrare un
miglioramento dei dati economici per invertire il corso delle loro
fortune politiche. Quindi un cambiamento delle politiche economiche è
per la prima volta negli interessi non solo dell’Italia e della
Spagna, ma anche della Francia. Il ruolo dell’Italia, che tra
l’altro avrà adesso la presidenza dell’Ue, è uscito aumentato
da questo vertice. Credo che Renzi potrebbe approfittare di questo
concorso di circostanze favorevoli per cercare davvero di “cambiare
verso” all’economia dell’Ue».
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