PIERO IGNAZI
La Repubblica - 14/6/14
Il M 5Stelle è come la Gallia di
Giulio Cesare: divisa in partes tres: il suo elettorato, la sua
embrionale classe dirigente di militanti locali e di eletti, e la sua
leadership. Tutte e tre queste parti hanno caratteristiche, visioni e
strategie contrastanti. Ed ora, con la scelta europea, le differenze
vengono in superficie.
Fin qui Beppe Grillo e il suo movimento
hanno veleggiato sull’onda del successo, senza troppi sforzi: la
strada è stata spianata dagli errori, dalle inconcludenze e dalle
malefatte degli altri partiti. Oggi il quadro è cambiato. Se
torniamo all’origine dell’avanzata grillina, alle regionali del
2010, allora il M5S pescava nell’insoddisfazione di un elettorato
di sinistra che non ne poteva più di un partito anchilosato,
velleitario e incapace di mettere all’angolo un avversario
screditato come Silvio Berlusconi. Non per nulla gli iniziali
successi elettorali del M5S si sono registrati in Emilia Romagna,
terra rossa per eccellenza, tra persone con alto livello di
istruzione, attente alla politica e spesso coinvolte in prima persona
in associazioni e movimenti. In questa fase iniziale i meet up(
anglicismo un po’
snobistico per indicare gruppo
organizzato) e gli iscritti, hanno una chiara connotazione
ecologista-alternativa, dove la critica alla partitocrazia e alla
classe politica si declina soprattutto in critica alla sinistra per
le sue deficienze. Della destra non ci si cura nemmeno perché è
considerata “altra”. Questo stadio fondativo si riflette tuttora
nelle attività dei meetup (1.450 in 1.167 città, con 172.134
iscritti e 61.710 simpatizzanti) che continuano a lavorare sulle
questione ambientali e sulla partecipazione di base. Da questo humus
originano gli attivisti e gli eletti che rappresentano quindi il lato
di sinistra dei 5Stelle.
Ma ad essi ora si affiancano gli
elettori, che hanno tratti diversi. Mentre fino al 2013 erano
pochissimi, e quindi irrilevanti, e comunque avevano caratteristiche
omologhe agli attivisti, l’incremento alle politiche dell’anno
scorso ha fatto affluire anche elettori di destra: costoro hanno
trovato nei 5Stelle un nuovo e più potente canale di espressione del
loro malcontento anti-sistemico. Mentre in precedenza il populismo
forzaleghista sollecitava in maniera più o meno latente l’animus
antipolitico di questa fascia di elettori — basti ricordare le
tirate di Bossi contro “quelli di Roma” o espressioni
berlusconiane come “il teatrino della politica” — la crisi
della destra e il montare della polemica anti-partitica a 360 gradi
di Grillo li ha indirizzati verso i 5Stelle. E, come evidenziano
tutte le ricerche, oggi nell’elettorato grillino le provenienze di
destra e di sinistra si equivalgono quasi. Quindi la prima
contraddizione latente riguarda un elettorato — che è suddiviso
anch’esso in partes tres tra destra, sinistra e non identificati —
e una classe dirigente prevalentemente orientata a sinistra e
socializzata in ambienti e su tematiche dell’ecologismo e della
partecipazione. Questa divaricazione non è ancora emersa perché è
tenuta sottotraccia dalla preponderanza della leadership la quale
riassume su di sé, superandole, tutte le contraddizioni. O, almeno
così è stato fin qui. Vale a dire fintantoché Grillo poteva non
decidere, e rimanere sul filo dell’ambiguità e della alterità a
tutto e a tutti. Le elezioni europee hanno posto fine a questa comoda
rendita di posizione e hanno obbligato per la prima volta ad operare
delle scelte “politiche”. Stare a destra con Nigel Farage o a
sinistra con i Verdi? In realtà, nel referendum tra gli iscritti
pentastellati essi dovevano scegliere solo tra l’euroscettico
Farage o i conservatori britannici di Cameron (ma come è anglofilo
Grillo!….), mentre l’opzione di sinistra dei Verdi è stata
esclusa in partenza. Questa decisione sposta l’asse del Movimento
verso destra e lo pone in connessione diretta con l’elettorato più
protestatario e anti- sistemico di origine forzaleghista. Uno
spostamento che lascia però “scoperta” la componente dei quadri
e di molti degli eletti più orientati a sinistra. La divaricazione
tra le parti costituenti del triangolo pentastellato non può che
portare a tensioni interne, ma forse anche all’inizio di un vero
dibattito politico all’interno di quel partito. Oppure può
indirizzarsi verso la capitalizzazione del suo ruolo di oppositore al
governo e alle larghe intese per guidare un inedito fronte “di
destra” alternativo al nuovo pivot della politica italiana, il
partito democratico.
Nessun commento:
Posta un commento