Sbagliati i rimpalli di responsabilità sulle città perdute. Il fatto clamoroso è l'inedita affermazione al Nord
Nanni Moretti, nel suo film Aprile, a un certo punto
raccoglie una cartellina contenente articoli di giornale intitolata
“Polemiche inutili”. Era il ’96, era l’Aprile ulivista, e malgrado la
vittoria – o forse proprio per questo – a sinistra divamparono presto
varie polemiche. E così andò avanti per anni. Praticamente fino a ieri.
Ci risiamo. Essendo impossibile fare polemiche su un partito che il
25 maggio ha preso il 40 per cento, tac, ecco che due settimane dopo
l’astinenza viene subito colmata: si è persa Livorno? Colpa di chi c’era
prima. No, colpa di chi c’è adesso. Rottamiamoli tutti. Macché, è
questo clima che ci fa perdere. Un po’ la brutta copia delle teorie
contrapposte: i (presunti) tangentari appartengono alla vecchia guardia
mentre la vecchia guardia ricorda che i (presunti) tangentari
appoggiarono il nuovo corso.
Così si rinfocola un clima di sospetti e rancori che si sperava
evaporato nel cielo di un Pd tornato a vincere. Ma soprattutto si
finisce con lo smarrire il senso vero di questa parzialissima e poco
partecipata tornata amministrativa. Che ci pare riassumibile in tre
punti.
1) Circola impetuoso per l’Italia un vento di rinnovamento, sotto
svariate forme (alcune delle quali molto discutibili, vedi il consenso
ad un partito ondivago come Cinquestelle), che finisce col punire
selvaggiamente Forza Italia (lo si è visto alle politiche ma anche in
questa tornata, facendo vittime illustri come l’ex sindaco di Pavia
Cattaneo, formattato dagli elettori) ma anche un dominio lunghissimo del
centrosinistra in realtà come Livorno e Perugia. Questo è un dato
politico che riguarda tutti gli attori politici e che impone a ciascuno
il problema di un radicale rinnovamento, dei programmi e delle facce.
2) Il bilancio del Pd è largamente col segno più. Con un dato che
balza agli occhi e che andrà analizzato bene: il primato del Pd al Nord.
In Veneto, in Lombardia. Qui il dato di ieri è clamoroso. Sta a
significare che i ceti più produttivi, il tessuto industriale del Nord,
piegato dalla crisi ma non vinto, si aggrappa al partito di Renzi come
unica chance di salvezza e di ripresa. Questo dato pone fra l’altro alla
Lega di Salvini il compito di sintonizzarsi con questo nuovo
orientamento che sboccia proprio nelle regioni dove essa è più presente.
E certamente mette al governo ancora più fretta nel fare le cose che
servono, perché questo – Renzi lo sa – è un voto esigente, non scontato
una volta per tutte, anzi.
3) Quest’ultimo punto, infine, è il più complesso di tutti. Riguarda
la volatilità del consenso, tratto tipico delle democrazie mature ma
abbastanza inedito per un paese come il nostro che per decenni ha votato
alo stesso modo. Ora non più. Adesso si premia Renzi se promette cose
giuste, e lo si punirà se non la avrà fatte. Vale a maggior ragione per i
sindaci, per i presidenti delle regioni. La politica, in questo senso,
si fa più difficile, perchè i cittadini, cadute le ideoogie e le vecchie
appartenenze, ti chiedono il conto. Senza guadare in faccia nessuno.
Chiamatelo pure pragmatismo: è la politica contemporanea.
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